L’Etruria

Redazione

Le attese della povera gente.

Di Maio come La Pira , Fanfani, Dossetti  e Lazzati?

Le attese della povera gente.

Si racconta che nei primi anni 1950 il sindaco santo di Firenze , Giorgio La Pira, andando a Roma a spiegare come amministrava il grande comune capoluogo della Toscana era solito rispondere ai liberisti di allora che lui spendeva i debiti e che la sua bussola erano i poveri. E tanto per non perdere tempo con chi faceva il sordo regalava ai suoi detrattori una copia del suo libro “L’ attesa della povera gente”. Teneva così tanto allo spendere i debiti che era solito dire ai politici di Governo: “io sono responsabile non dei debiti che ho fatto, ma di quelli che non ho fatto per la crescita della mia città”.

Il professor la Pira era così impegnato per la redistribuzione della ricchezza  che convinse Amintore Fanfani e gli altri esponenti della sinistra democristiana alle politiche dell’intervento dello Stato nell’economia privata e nel fare impresa.

Fanfani , Dossetti e i laburisti cristiani della DC fecero della bandiera keinesiana del “sindaco folle” il cartellone programmatico della loro battaglia politica contro l’ancien regime liberista, imponendo quel loro “più stato e meno mercato”, che diede il là al primo miracolo economico del biennio 1956-1958.

Dopo le dichiarazioni di Di Maio e la manifestazione romana di ieri notte a molti osservatori è tornata in mente l’Italia sognata dalla Comunità del Porcellino, come venivano chiamati i cosiddetti professorini democristiani di Cronache Sociali ,che avevano  messo sù la loro tenda politica nei locali parrocchiali della Chiesa Nuova, come veniva chiamata la cinquecentesca  chiesa di Santa Maria in Vallicella, a due passi dal Senato della Repubblica.

Senz’altro allora si era in altri tempi e in altre situazioni che, tra l’altro, vedevano il nostro Paese detenere la sua sovranità monetaria, non c'erano i tecnocrati di Bruxelles e lo spread non si sapeva nemmeno cosa fosse.

Ma il raffronto richiamato dalle parole di Di Maio e Conte ( Una manovra del popolo per il popolo ) porta a rileggere e riflettere su quanto scriveva  Giorgio La Pira in quei lontani anni di vita magmatica della nostra Repubblica.

Ecco quindi due brani  di  un democristiano atipico che testimoniò con i fatti la capacità di coniugare i suoi ideali con cose che si vedono e toccano ogni giorno: il lavoro a chi non ce l’ha, la casa a chi non ce l’ha, un progetto di sviluppo di un paese che guarda al domani con investimenti produttivi e con la capacità di fare opere e non chiacchiere.  

Due brani, due frasi che ripropongo volentieri alla riflessione di quanti oggi fanno politica e soprattutto dei tanti cittadini che nei social interagiscono e interloquiscono con la politica odierna.

Scriveva La Pira: “Vorrei essere io disoccupato, affamato, senza casa, senza vestito, senza medicinali? No certo: e, se , quindi, questo no io devo pronunziare anche per i miei fratelli (...) la crisi sarà risolta(….)se il Governo farà come il sapiente costruttore del Vangelo: costruirà saldamente l’edificio sopra la roccia”. Allora il Palazzo rispose bene, tutti accettarono la sfida e si costruì il miracolo italiano. Oggi ,in un mondo globalizzato, tutto è diverso, ma se al Governo ritrovano quella tensione etica di La Pira e dei professorini democristiani come non dargli una mano a costruire sulla roccia un nuovo edificio? L’importante è di non costruire sulla sabbia e di ritrovare quella tensione etica di allora per guardare ancora con speranza all’Italia di domani. Ecco un secondo brano un po’ più lungo: “L'attesa della povera gente (disoccupati e bisognosi in genere)? La risposta è chiara: un Governo ad obbiettivo, in certo modo, unico: strutturato organicamente in vista di esso: la lotta organica contro la disoccupazione e la miseria. Un Governo, cioè, mirante sul serio (mediante l'applicazione di tutti i congegni tecnici, finanziari, economici, politici adeguati) alla massima occupazione e, al limite, al "pieno impiego".  Altra attesa  - rispetto al governo - la  povera gente né aveva, né ha: senza saperlo essa fa propria la tesi dell' Economist del Febbraio scorso: il "pieno impiego"  è l'imperativo categorico fondamentale di un governo che sia consapevole dei compiti nuovi affidati agli Stati moderni. Ma volere seriamente la  massima occupazione e, al limite, il pieno impiego, significa accettare alcune premesse e volere alcuni strumenti senza l'uso dei quali non è possibile raggiungere quel fine. (…..) è vano - per un Governo - parlare di valore della persona umana e di civiltà, se esso non scende organicamente in lotta al fine di sterminare la disoccupazione ed il bisogno che sono i più temibili nemici esterni della persona” (L’attesa della povera gente, pp.15-16)

Buona meditazione a destra, a manca e al centro.

Ivo Camerini