L’Etruria

Redazione

Il Sindacato nel tempo del neo-barocco.

Un pubblico saluto di un frate semplice ai congressisti della Cisl aretina

Il Sindacato nel tempo  del neo-barocco.

Mercoledì 15 dicembre 2021, cioè questa mattina,  sono stato invitato da Pasquale Ciabatti al Minerva di Arezzo, dove si tiene il diciannovesimo congresso della Fnp-Cisl o, per “parlar chiaro” come dicevano i contadini di una volta, dei pensionati della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori. Cioè di quella organizzazione sindacale nata il trenta aprile 1950 con l’Assemblea fondativa del Teatro Adriano di Roma, dove Giulio Pastore e gli altri padri cislini accesero il fuoco del Sindacato Nuovo. Vale a dire,  il fuoco del sindacato democratico, autonomo e libero dai partiti, dai governi, dai padroni e gestito dagli iscritti-soci al pari di una company etico-sociale che si fa carico dei diritti dei lavoratori, dei pensionati, di chi cerca lavoro, di chi studia, dei cittadini in sofferenza od esclusi dal benessere materiale. Insomma, il fuoco di  un sindacato che si fa carico della solidarietà e  della “eudaimonia”; cioè dalla felicità, che, in sintesi, corrisponde a ciò che dobbiamo e non dobbiamo fare,  ma anche a ciò che ci tocca in sorte; e che  significa: diventa quel che sei; non accontentarti di restare in un bozzolo, come ci ha insegnato Remo Bodei, morto nell’autunno 2019.

Questa del 15 dicembre 2021 sarebbe stata  una  partecipazione da invitato e non più da delegato come mi è successo in quarantacinque anni di militanza e di attività sindacale in Cisl, cui pago la tessera dal lontano 1976, quando, giovane professore, fui iscritto come socio dal mitico Silvano Papini, segretario provinciale del glorioso Sism-Cisl.

Il tempo passa per tutti  e di certo non mi rammarico per queste cose, perché so bene che, come dicevano i professori di una volta,”tempus fugit” e come mi aggiungevano i miei genitori contadini quando glielo raccontavo: “ e non ti avverte, non te lo dice…pensaci sempre” .

So bene che nessuno è eterno e che, ringraziando Dio per la buona salute , è arrivato per me il tempo da dedicare ai nipoti, all’orto e alle buone letture di quei tanti libri accumulati in casa e,spesso, solo sfogliati rapidamente.

Per motivi personali e familiari non posso essere presente a questo congresso, però ci tengo a inviare un pubblico saluto ai tanti amici (anche a quelli che sono volati nella Gerusalemme celeste e di cui oggi non si ricorda più nessuno) che, in questi quarantacinque anni , ho incontrato nelle sedi cisline, nei luoghi di lavoro, nelle strade dell’impegno militante e volontario , ma, soprattutto , ai tanti soci-iscritti alla confederazione e ai suoi sindacati di categoria, che sono la vera Cisl, il vero popolo di questo sindacato anomalo che volle Giulio Pastore e che fu completato e radicato poi, in tutte le terre d’Italia, dai Macario, dai Carniti, dai Marini, dai D’Antoni e dai Pezzotta.

Oggi , nel nuovo tempo del barocco o “ baròco”, dove la pandemia ha fatto più ricchi i ricchi e più poveri i poveri ( assieme a  quei  cittadini del ceto medio a suo tempo costruito in Italia dai tre partiti fondativi della nostra Repubblica : democristiani, socialisti e comunisti), il sindacato confederale incontra difficoltà così forti e  strutturali che rischia di perdere la bussola e la sua stessa esistenza se non ritorna politicamente tra la gente, tra i lavoratori, tra  i giovani che cercano lavoro e non lo trovano, tra i pensionati   cui il carovita sta erodendo inesorabilmente il potere d’acquisto delle loro pensioncine e cui la società neoliberista riserva solo una vita ai margini, seppur chiedendo loro di farsi carico di figli e nipoti, che, spesso, non sanno dove sbattere la testa.

In questo tempo fuori dai cardini, rigoroso nella forma, ma fragile nel contenuto logico, irregolare nel rispetto dei diritti umani e quindi nuovamente barocco o “baròco”, anche il sindacato cade nella bizzarria, nella tortuosità, rischiando i fondamentali stessi del suo esistere ed operare.

Io in giro sento tanti “ non ci sto più”. Tanti “voglio levare la tessera”. Non so se la “risacca” degli iscritti è forte o meno, se è un terremoto o meno. Quando ero segretario regionale in Umbria ( 1989- 1993 ) ogni anno si aumentavano gli iscritti, nonostante le terribili difficoltà del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica e  la crisi economica di quegli anni, che portò alle scelte concertative di allora. 

Oggi, purtroppo, la concertazione va superata perché non serve più . Infatti non ridistribuisce più la ricchezza, ma carica i ceti più bassi solo di pesi economici e di riduzione di diritti, quasi fino a mettere in discussione i sacrosanti principi della democrazia e delle libertà conquistate nel Secondo Novecento. 

Guai a coloro che si fanno complici del  rischio di avallare la sciagurata visione di una società mercantile dove l’economia è come un fico la cui polpa è riservata ai pochi e le bucce, se ne rimangono, ai molti, agli altri

La Cisl, fondata qui ad Arezzo il Primo Maggio 1950, secondo il mio modesto capire da semplice frate e giornalista di strada qual sono dal gennaio 2019,  non dovrà mai avallare la visione di una società dove il ricco Epulone lascia cadere qualche briciola di pane ai poveri accovacciati sotto la sua tavola riccamente imbandita

Ormai sotto la tavola non si fanno accovacciare più nemmeno i cani e i gatti. Aiutare “lor signori i neoliberisi” a rimettere i cittadini, i lavoratori sotto i piedi è peccato mortale per qualsiasi sindacato; tanto più per la Cisl che ha tra i suoi valori anche quelli del Vangelo e del falegname Giuseppe. 

Guai a giustificare il neo-thatcherismo e il neo-reganismo di “lor signori”, che vanno a pavoneggiarsi in uno spettacolo da tremila euro a cranio sui palchi della Scala o vanno a spassarsela nello spazio fuori della terra con una passeggiata a ottocentomila euro a viaggio con le navicelle di Jeff Bezos.

Nel bel libro che mi regalò anni fa uno dei fondatori della Cisl aretina, il cislino doc Ferdinando Turchetti ( Cinquant’anni di attività della Cisl aretina nei ricordi di un sindacalista, Arezzo , Ezechielli, 2000) l’autore colloca le origini della Cisl territoriale nelle discussioni e nei dibattiti di giovani che si riunivano negli oratori parrocchiali di Don Carlo Tanganelli e di Don Onorio Barbagli. In particolare, colloca le origini anche nel sodalizio cattolico del Circolo del Beato Angelico, dove discusse di dottrina sociale e di Rerum Novarum anche il martire partigiano Sante Tani, ucciso dai nazifascisti. 

Scrive Turchetti: “ il quieto vivere e l’eccesivo rispetto verso i padroni vanno combattuti e vinti, come si afferma nella Rerum Novarum”. Da quella scuola nacque la Cisl aretina , fondata e organizzata da sindacalisti, allievi di quegli oratori, che si  chiamavano: Olinto Landini, Giuseppe Casalini, Enrico Pierallini, Felice Chiarini, Tosco Burali,Domenico Ralli, Arturo Artini, Liliana  Bertini, Ferdinando Turchetti, Guido Lai, Ivo Bracci, Silvano Papini e tanti altri che vengono ricordati nel libro e che qui è impossibile richiamare per esteso. 

Cogliendo le celebrazioni in  atto dei settantuno anni Cisl, che recuperano il settantesimo che la pandemia impedì di celebrare nel 2020,sempre da semplice frate e modesto giornalista di strada, mi permetto di suggerire la ristampa di questo libro per regalarlo agli iscritti, ai giovani soci di oggi; magari anche, visto che la lettura oggi non va più di moda, con allegato il film dei sessant’anni della Cisl aretina , che ebbi l’onore e il piacere militante di realizzare per il congresso del 2013.

Il futuro è già tra di noi e, più che di esploratori, oggi c’è bisogno di sindacalisti all’antica, che sappiano, ancora una volta, capire il cambiamento e guidarlo. Sapendo che, come insegnò Paolo di Tarso, la buona battaglia si combatte mantenendo la fede nella solidarietà, nel non approvare parti uguali tra diseguali e, soprattutto, sapendo che, per praticare  la virtù, l’uomo ha bisogno prima di tutto di non essere assalito dalla fame, di non essere angosciato dal non arrivare alla fine del mese con i soldi del proprio salario o dai bisogni  del mantenere civilmente una famiglia.

In una situazione di grande frantumazione sociale e di azione politica tesa a ridividere il nostro paese in ricchi e poveri, tra coloro che stanno bene, possedendo anche il superfluo, e coloro che stanno male e non possiedono nemmeno per una decente sopravvivenza, non è fuori luogo tornare a parlare di impegno sindacale inteso come impegno globale,come soggettualità politica extra-partiti, come militanza vissuta in prima persona, nel quotidiano, dei grandi valori che hanno caratterizzato la vicenda ultrasettantennale della Cisl: democrazia, contrattazione, solidarietà ed eguaglianza.

Se le nostre controparti, in primo luogo Confindustria e Governo, vogliono far apparire come interesse generale del paese quelli che sono invece soltanto i loro limitati interessi di parte, noi dobbiamo combattere, ancora una volta, la buona battaglia degli interessi del lavoro e dei lavoratori, che, come sta scritto nella Carta Costituzionale della nostra Repubblica, sono, oggi quanto ieri, l'interesse generale della nostra Italia; anche di questa  che si avvia a ripartire dopo la pandemia covid.

Osare e costruire ancora più democrazia nel nostro paese ( ed aiutare a far vivere  la democrazia italiana, nata nel 1944-45, nella lotta di resistenza al nazifascismo )  deve rimanere l’obbiettivo di sempre indicatoci, nel Secondo Novecento, da Pastore, Carniti e Marini.

Un obbiettivo che ha fatto sempre tremare i polsi ai grandi sindacalisti del passato, ma che deve farlo tremare anche a chi fa sindacato oggi a tutti i livelli in questo tempo” barocco”, cioè irregolare.

E’ un impegno di non poco conto; ma io sono certo che le risorse umane, rappresentate dai pensionati e dai lavoratori associati nel sindacato confederale, sapranno essere all'altezza delle risposte appropriate che, gli attuali problemi complessi  pongono.

E’ innegabile che  oggi il sindacalismo confederale italiano e gli oltre 9 milioni di cittadini, che esso associa, si trovino  davanti lobbies agguerrite, poteri occulti e  mafie diverse che condizionano lo sviluppo e, talora, il governo stesso del nostro paese. Davanti a tutto questo tutti sappiamo bene che ci troviamo in una posizione di contingente debolezza; ma è bene ricordare ai nostri avversari (esterni ed interni) che, come diceva il nostro amico Ezio Tarantelli: "l'utopia dei deboli è la paura dei forti". Ed ancora: "Ricordatevi che alla fine la gente capisce sempre" e sa sempre da che parte stare.

Io sono sicuro che ancora una volta il grande popolo italiano dei pensionati, dei lavoratori, che sgobbano da mane a sera, e dei giovani che studiano o cercano lavoro, se capiti e guidati da sindacalisti che vivono la loro stessa vita , il loro stesso quotidiano, accoglieranno con favore e seguiranno  il coraggio di questi sindacalisti che guardano avanti e, assieme all’acqua sporca, non buttano via il bambino , cioè il futuro che è appena nato. Sono sicuro che sentiremo gridare ancora forte con noi che crediamo nel sindacato confederale: W la Cisl, W la democrazia repubblicana, W la libertà, W la solidarietà degli italiani !

Naturalmente non basta gridare dei "Viva" o lanciare slogans, come si faceva una volta. Oggi, ripeto nel tempo fuori dai cardini, occorre innanzitutto ritrovare quel rapporto fecondo che ci fu nel secondo novecento tra intellettuali e lavoratori, tra sindacato ed intellettuali. Cioè quel rapporto grande, quasi immenso, che  diedero gli intellettuali alla causa dei lavoratori, al loro riscatto dalle storiche subalternità, al loro odierno diritto a  divenire classe dirigente.

Per noi della Cisl, per capire questo, basta il ricordo di due soli nomi, quelli di Romani e di Tarantelli.  Nomi che  evocano immediatamente tutta una serie di contributi culturali, di indirizzi strategici della azione politica, socio-economica ed istituzionale svolta dal sindacato all'interno del progresso italiano contemporaneo.

Credo ( e ripeto, da semplice frate e da modesto giornalista di strada)  che occorra urgentemente riflettere su di un nuovo incontro tra intellettuali e lavoratori, tra sindacato ed intellettuali, perché,  nell'attuale fase di innovazione e di passaggio, sono proprio le  nuove realtà economiche, le  nuove forme di vita democratica, le nuove civiltà istituzionali, a chiedercelo per non lasciare campo libero ai soli neoliberisti.

Nuove prospettive si aprono per questo rapporto. Nuovi terreni aspettano d'essere dissodati per un ulteriore raccolto abbondante e di qualità, così come già è avvenuto per le coltivazioni del passato. Occorre però trovare intellettuali liberi e forti, come lo furono i nostri Romani e Tarantelli, che, pur essendo iscritti a ben precisi partiti ed altre organizzazioni, seppero spendere la loro intelligenza per il Sindacato Nuovo. 

Oggi il riferimento al sociale è notevolmente stanco, così come appare al contrario estremizzato l'individualismo.

La situazione contemporanea, a causa della complessità costitutiva, ha bisogno quanto mai di letture trasversali che come avviene nelle dissolvenze incrociate di un video ci consentano di chiarire il passaggio invisibile tra un fotogramma e l'altro.

Oggi la persona e il sociale, che gli fa da corollario, tendono, in questa società di secondo decennio del nuovo secolo, a svanire nel confusionale ed anche il nostro sogno della solidarietà perde le tinte forti dell'utopia dinanzi alle recrudescenze dell'homo homini lupus, al prevalere degli interessi di parte, al riemergere di forti confinamenti tra la società dei due terzi, che vivono nel benessere, e quella di un terzo, che viene relegata nella miseria economica, nell'ignoranza dei nuovi analfabetismi, nell'emarginazione sociale e politica.

Walter Bengjamin scriveva che "ogni epoca sogna la successiva"; ma,  attenzione a non coltivare i brutti sogni , anche se il suo assunto, naturalmente, rimane vero anche per questa contemporaneità che ci è stato dato di vivere.

Ricordiamoci che ancora una volta la dottrina sociale della Chiesa ci dice che  dipende tutto, anche per i lavoratori e per la dirigenza sindacale, da quali elementi, da quali scene e da quali accadimenti compaiono, oppure vogliamo fare comparire, nel nostro  sogno cislino.

Ricordiamoci che, sia che si tratti di sogno sia che si tratti di realtà immaginate, le implicazioni devono essere prese sul serio, perché esse costituiscono altrettanti fotogrammi, anche se un po' sfumati, del nostro divenire sociale sia come condizione economica sia come popolo, come umanità che, ancora, crede nello stare insieme, nella condivisione. Come umanità che crede in un nuovo stare insieme, affinché (ripeto: forti di quel grappolo di valori con cui  Pastore e gli altri fondatori seppero accendere il fuoco nel lontano 1950, costituendo la Cisl, ed, altresì, attraverso un'opera indispensabile di mediazione culturale con le spinte proprie dell'epoca contemporanea)  lavoratori e intellettuali, sindacato ed intellettuali  possano riprendere a coltivare, in maniera integrale la persona umana, i suoi diritti alla libertà, alla democrazia e all'eguaglianza dei diritti e dei doveri.

Buon congresso,amici cislini, da un “frate semplice”!

Ivo Camerini