L’Etruria

Redazione

Ultima domenica di “confinamento”

Ma la tempesta non è passata e guai a pensare che da domani la vita possa riprendere come prima.

Ultima domenica di “confinamento”

In quest’ultima domenica di confinamento domestico e sociale troppa gente  si appresta  ad organizzarsi per “ uscir di pena con diletto”, tanto per citare l’immortale Giacomo Leopardi.

Le avvisaglie di un incosciente  ritorno al caos del pre-Covid ci sono tutte , soprattutto da noi dove dal primo maggio si è ripresa la salutare passeggiata a piedi e in bicicletta, che però è sconfinata già  in piccoli assembramenti,in abbandono delle mascherine protettive, quasi come se il temporale con il mostro invisibile fosse passato e il sole della vita fosse tornato a splendere come nella famosa poesia leopardiana, che , in conclusione di queste piccole , modeste riflessioni, riproporremo in testo completo.

Dopo due mesi di paura e di clausura domestica è quasi naturale che tutti vogliamo gioire e riprendere a razzolare sulla via come facevano le galline nella società contadina di una volta, a riprendere “ il lavoro usato”, a far stridere nuovamente  “il  carro del passegger che il suo cammin ripiglia”.

Certamente siamo tutti un po’ sclerati , ma purtroppo la tempesta non è passata e non possiamo permetterci la gioia leopardiana e umana che è naturale dopo un brutto, terribile e improvviso  temporale estivo.

La pandemia del Covid-19 non è un temporale estivo . E’ un brutto inverno che durerà a lungo e con il quale imparare a convivere uscendo nuovamente di casa.  E’ come una grande nevicata che ghiaccia sulla terra e che ci impone di uscire e di riprendere a fare le cose protetti da abiti adeguati e caldi per non morire assiderati nel cammino di ripartenza del viandante  dopo la sosta obbligata nel rifugio in cui si è riparato nel momento della bufera .

Se vogliamo attraversare indenni il terreno coperto dalla neve ghiacciata, nonostante il gelido sole che ci dà luce per rivedere l’orizzonte oppure  cercare di arrivare in cima alla vetta innevata della montagna per poi ridiscenderne e raccontare la nostra avventura, dobbiamo riprendere il cammino in sicurezza e con protezioni adeguate. La strage dei soldati italiani del corpo dell’Armir  che, con cuore grande e coraggio immenso, furono mandati ad attraversare la steppa gelata della Russia durante la seconda guerra mondiale da un governo e da generali felloni e criminali , è lì a ricordarcelo e guai a non averne memoria.

Attraversare e superare questo mese di maggio non sarà per niente facile se non saremo tutti responsabile e ligi alle regole dei protocolli che i medici ci suggeriscono di seguire per la nostra salute e la tutela della nostra vita e quella del prossimo.

I nuovi casi di persone ammalate (segnalate ieri  nelle nostre terre di Valdichiana dalla Usl Toscana sud-est e che nessuno si deve permettere di criminalizzare o indicare come untori) sono lì a dirci che il passaggio dal "confinamento" al "semiconfinamento" è delicato e decisivo per far ripartire la nostra vita economica , la nostra vita sociale.

Dobbiamo farci carico, come si scriveva ieri anche su questo giornale, di essere comunità responsabile. Di capire che dobbiamo riportare in auge quei diritti e doveri umani a lungo  calpestati da un vivere anarchico di una società neoliberista, che si era ubriacata nel vino drogato della globalizzazione selvaggia e che aveva relegato la vita spirituale nelle catacombe  degli esclusi e dei senza voce.

Quest’ultima domenica di confinamento domestico ci faccia riflettere allora su come riprendere la nostra strada di pellegrini sulla terra, riscoprendo tutti la libertà del prossimo, la solidarietà del vivere in comunità e, come ricordano le letture della odierna Messa domenicale, di “ non rispondere alle offese con le offese”; cercando di  convertirsi per salvarsi da una “generazione perversa”, che tenta di entrare  in continuazione nell’ovile non dalla porta , come fa il buon pastore, ma dalle finestre come fanno i ladri e i briganti.

Cerchiamo allora  di ripartire verso la vita che ci attende, nonostante il "semiconfinamento", rifiutando “ l’ inganno dalla nostra bocca”. Rifiutando di rispondere con insulti se veniamo insultati. Rifiutando di minacciare vendetta. Rifiutando di giudicare la pagliuzza nell’occhio del fratello e di non vedere la trave che abbuia il nostro occhio. (cfr. Prima Lettera di San Pietro Apostolo: “Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”.)

Cercando , insomma, di ritrovare , assieme al diritto a vivere, il dovere di difendere la vita che  Dio ci ha donato sulla terra. Una terra che in troppi abbiamo violentato e la cui bellezza dobbiamo godere nuovamente. Ma godere e gustare senza la visione del pessimismo finale della poesia di Giacomo Leopardi, senza la infelicità di una gioia immaginata, desiderata , ma non concretizzata a causa della nostra incapacità di capire che nella terra siamo anima e non solo corpo.

Nel mese o nei mesi di "semiconfinamento" che ancora ci aspettano davanti ad una pandemia, che la scienza medica non riesce a sconfiggere, guai ad abbandonarci al sonno della ragione o al semplice desiderio del " liberi tutti". Guai a farci ingabbiare nuovamente. 

Se noi tutti sapremo riprendere la strada del nostro andare proteggendo gli altri e noi stessi, anche con l'indossare sempre le mascherine e mantenendo le distanze fisiche prescritte, possiamo farcela.

Allora, anche  rileggere, con attenzione culturale nuova ,i versi leopardiani dedicati alla vita che riparte dopo la tempesta,  può esserci  di aiuto per capire che il nuovo che ci aspetta non è quello della società di ieri e nemmeno quello dell’Italia contadina celebrata dal poeta di Recanati, dopo un brutto temporale in un'estate atttorno al 1830.

Ivo Camerini

 

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova

Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E' diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.

Giacomo Leopardi