L’Etruria

Redazione

Il Natale a Cortona

Tra quiete familiare e funzioni religiose tradizionali e “rivoluzionarie”.

Il Natale a Cortona

Anche a Cortona il Natale è  trascorso essenzialmente tra le mura domestiche e, per una giornata, uomini, donne, babbi, mamme, bambini, bambine, nonni e nonne, ma anche single si son lasciati cullare dagli affetti familiari,  dalla vita finalmente lenta e scandita da ore lunghe che sono scorse tra il caldo del focolare e le leccornie tradizionali di una cucina semplice e genuina.

Del resto anche a Cortona vale il detto che risuona un po’ dappertutto: “ Natale con i tuoi”. Ma nell’antica città toscana, oggi con chiasso e musiche abbassati anche nelle piazze pur riempite dalla novità dei mercatini natalizi, alto e forte è stato il suono delle campane delle sue tante chiese e tanti cittadini e cittadine hanno santificato la nascita di Gesù Bambino recandosi religiosamente in massa alle poche  Sante Messe rimaste e a visitare il presepio.

Anche il cronista ha condiviso la vita religiosa cittadina, recandosi di prima mattina in una piccola, accogliente e  storica chiesetta fuori del tempo, dove ha avuto l’opportunità di ascoltare una significativa  predica di un sacerdote francescano che, con coraggio e parlando fuori dagli schemi canonici, ha chiamato tutti a riflettere come nella nostra sociètà anche il Natale rischi di snaturarsi e di essere dimenticato nel suo vero significato in quanto, in questo giorno in cui si celebra la nascita di un bambino, nelle chiese ci sono sempre meno bambini sia perché anche nella nostra comunità le nascite sono in grande calo sia perché non si portano molto i bambini in chiesa.

Il sacerdote, molto in sintonia, seppur con stile proprio, con i discorsi fatti da Papa Francesco in San Pietro nelle due messe da lui celebrate oggi , ha invitato inoltre a riflettere a fondo sul modello, sulla struttura neoliberista che anche l’Italia si è data in questi ultimi trent’anni. Ha invitato tutti a darsi da fare per cambiare il vecchio modello di società capitalistica pena il concretizzarsi su scala mondiale di una drammatica e duratura nuova schiavitù dell’uomo. Insomma questo sacerdote, parlando di un Gesù Cristo immanente e invitando a riflettere sulla crisi demografica locale e nazionale che mina la società cosiddetta occidentale, ha posto l’accento delle sue riflessioni anche sullo sfruttamento, sulle emarginazioni, sulle sopraffazioni, sulla violenza, sulla disoccupazione che sono tornati ad essere cimiteri sotto la luna ed ha riecheggiato in alcuni momenti la famosa predica di Natale tenuta, nel 1897, ai contadini e agli operai di Reggio Emilia da Camillo Prampolini.

Una predica che, circa trent’anni fa, il cronista ebbe in regalo dal grande cortonese Ivo Veltroni e che qui ripropone volentieri nel suo testo integrale. La ripropone anche perché  il sacerdote francescano davanti a tanti , così qualificati fedeli, non ha avuto timore a definirsi “pazzo e fuori di testa” (naturalmente nel senso di quanto afferma il filosofo Cacciari nella recente intervista: I cristiani sono i primi ad aver dimenticato il Natale”: (...) “Cristo -dice Cacciari- non predicava nei templi: predicava fuori, nelle strade. I suoi discepoli dicevano: "È fuori". Nel senso: "È fuori di testa, è pazzo". Eppure, Gesù ha segnato un prima e un dopo nella storia dell'uomo, ha creato il mondo culturale e antropologico in cui viviamo. C'è qualcosa di più realistico di questo? Senza quell'impossibilità niente ci spingerebbe a uscire da noi, a ri-orientare diversamente le nostre vite (…) Ritrovare il Natale serve per liberare il nostro tempo dalle sue miserie. Più la nostra epoca ci rinserra dentro di esse, più servono grandi idee, pensieri limite, parole ultime. Sono le uniche cose che ci possono sradicare dal tempo in cui ci viviamo(..) Un tempo osceno, nel senso letterale del termine: un tempo in cui tutto viene posto sulla scena.”)

Ecco allora il bel testo prampoliniano: “Lavoratori! Ancora una volta voi avete festeggiata nelle vostre case e nella vostra chiesa la nascita di Gesù Cristo. Ma interrogate la vostra coscienza: siete ben sicuri di meritare il nome di cristiani? siete ben sicuri di seguire i principii santi predicati da Cristo e pei quali egli morì?Badate! Voi vi dite cristiani, perché recitate le preghiere che vi insegnarono i vostri parenti; perché andate alla messa e alla benedizione; perché infine vi confessate, vi comunicate e osservate tutte le altre pratiche del culto cattolico.Ma credete voi che questo basti per chiamarsi cristiani?Voi non potete crederlo, o amici lavoratori. Non potete crederlo, perché diversamente – se si dovesse ammettere che il cristianesimo consista nelle sole pratiche del culto cattolico – si dovrebbe arrivare alla strana, assurda, ridicola conclusione che i primi e più devoti seguaci di Cristo e lo stesso Cristo in persona… non furono cristiani!
Voi sapete, infatti, che quasi duemila anni or sono, quando Cristo cominciò a predicare la sua fede, non c’erano né curati, né parroci, né vescovi, né cardinali, né papi e neppure “chiese” nel senso che voi date a questa parola. Gesù – il figlio del povero falegname di Nazaret – andava per le vie e per le piazze a spiegare le sue dottrine.Voi sapete che egli era quasi solo contro tutti; che lo seguivano soltanto degli umili popolani: dei pescatori, degli artigiani, delle povere donne e dei ragazzi; che i ricchi e i sacerdoti del suo paese, i farisei e gli scribi lo derisero dapprima come un matto e poi, quando videro che le sue idee si facevano strada, lo fecero arrestare come un perturbatore dell’ordine, come nemico della società e della religione: e – stoltamente iniqui, credendo di seppellire con lui il suo pensiero – lo trassero a morte, condannandolo al crudele e infamante supplizio della croce.Voi sapete che per trecento anni i suoi seguaci continuarono ad essere vittime delle più feroci persecuzioni. Considerati quali malfattori; odiati nei primi tempi anche dal popolo, che in generale era ancora troppo ignorante, superstizioso ed incivile per comprendere il loro ideale; lapidati, gettati in pasto alle fiere, uccisi a migliaia, essi dovevano nascondere la loro fede quasi fosse un delitto: e per trovarsi insieme qualche ora tra fratelli, lontani dai nemici, a parlare delle loro dolci speranze, dovevano cercar rifugio sotto terra, nel silenzio solenne delle catacombe.

Voi sapete che finalmente, dopo tre secoli di lotta, al tempo dell’imperatore Costantino – quando il loro numero fu cresciuto al punto che ormai quasi tutto il popolo era con loro, e i potenti si accorsero che le persecuzioni erano inutili – le persecuzioni cessarono.E allora anche i ricchi, anche i re e gli imperatori e tutti vollero dirsi cristiani. E Cristo fu adorato come Dio.

Sorsero appunto allora le prime “chiese”, apparvero allora i primi preti, i quali poi andarono via via moltiplicandosi e introdussero l’uso della messa, della benedizione, della confessione e di tutte le altre cerimonie cattoliche, quali sono adesso.

Ma Gesù e i suoi primi e grandi discepoli non praticarono nessuno di questi usi. Anzi (sta scritto nel Vangelo) Gesù chiamava ipocriti quei tali che al suo tempo “amavano di fare orazione, stando ritti in piè” – com’egli diceva – “nelle sinagoghe e ne’canti delle piazze, per essere veduti dagli uomini”. E insegnava che la sola cerimonia religiosa, la sola preghiera da farsi era il Pater noster, che ognuno doveva recitare solitariamente nella propria stanza.

Ora: vorrete voi dire, amici miei, che Gesù Cristo non era cristiano? Vorrete voi dire che non erano cristiani quei generosi popolani, padri vostri, che con lui, sfidando le persecuzioni e il martirio, furono i veri fondatori del cristianesimo?

Voi non direte certamente una simile assurdità.

Ma allora perché furono cristiani quegli uomini, che pur non andavano a messa e non conobbero preti né chiese?

In che consiste dunque veramente la dottrina di Cristo? Quali erano i principii che egli predicava e che suscitarono tanto rumore e tanta guerra intorno a lui e a’suoi seguaci?

Eccoli qui, o lavoratori, i principii essenziali del cristianesimo, i principii che bisogna seguire se si vuole davvero essere cristiani.

Gesù era profondamente convinto che gli uomini fossero tutti figli di uno stesso padre celeste: Dio; e Dio egli lo concepiva come un essere infinitamente giusto e buono.

Ora, come mai – egli si domandava – come mai esistono nel mondo tante ingiustizie? Come mai gli uomini sono divisi in ricchi e poveri, in padroni e schiavi? Come mai vi sono gli Epuloni viventi nel lusso e i Lazzari tormentati dalla più crudele miseria? È possibile che Dio – il padre infinitamente giusto e buono – voglia queste inique disuguaglianze tra i figli suoi?

No – egli pensava – evidentemente queste disuguaglianze derivano solo dall’ignoranza e dalla malvagità degli uomini. Dio non può volerle. Certamente, Dio le condanna. Certamente, Dio vuole che gli uomini vivano come fratelli – distribuendosi in pace e giustizia la ricchezza comune – e non già vivano come lupi in lotta l’uno contro l’altro, godendo gli uni della miseria degli altri.

Dunque – diceva Gesù ai suoi compagni – noi dobbiamo far guerra a questo doloroso e brutto regno dell’ingiustizia in cui siamo nati; noi dobbiamo volere, fortemente volere il regno della giustizia, dell’uguaglianza, della fratellanza umana, perché questo è il regno che Dio vuole fra gli uomini; noi dobbiamo persuadere i nostri fratelli che esso è possibile e non è un sogno. Dobbiamo trasfondere in loro la nostra fede, e il “regno di Dio” si avvererà....

Questo, o lavoratori, questo era il pensiero, e questa fu la predicazione di Cristo.

Un odio profondo per tutte le ingiustizie, per tutte le iniquità, un desiderio ardente di uguaglianza, di fratellanza, di pace e di benessere fra gli uomini; un bisogno irresistibile di lottare, di combattere per realizzare questo desiderio – ecco l’anima, l’essenza, la parte vera, santa ed immortale del cristianesimo.

Ed ora ditemi: siete voi cristiani? lo sentite voi questo benefico odio pel male? lo sentite voi questo divino desiderio del bene? Voi che cosa fate per combattere il male? che cosa fate per realizzare il bene?

Perché – badate, amici miei! – voi potete anche andare in chiesa ogni giorno; voi potete ogni giorno confessarvi e comunicarvi; voi potete recitare quante preghiere volete; ma se assistete indifferenti alle miserie e alle ingiustizie che vi circondano, se nulla fate perché esse debbano scomparire, voi non avete nulla di comune con Cristo e i suoi seguaci, voi non avete capito nulla delle loro dottrine, voi non avete il diritto di chiamarvi cristiani...

Ebbene, in questo giorno di Natale, mentre voi festeggiate la nascita dei Nazareno, io che appartengo al partito socialista, sono qui a dirvi: siate cristiani, o lavoratori, ma siatelo nel vero ed alto senso della parola!
II “regno di Dio” voluto da Gesù, non fu ancora attuato, Passati i pericoli dei primi anni del cristianesimo, molti vollero dirsi cristiani, ma quasi nessuno si ricordò de’principii di Cristo.

Ed ora – voi lo vedete – le disuguaglianze e le miserie che egli ha combattuto sono più vive che mai. Il mondo è devastato e insanguinato dal sistema capitalista, che è il sistema dello sfruttamento, della speculazione, della concorrenza, della guerra.

E appunto perciò io dico a voi uomini e donne: siate cristiani – cioè combattete questo iniquo e barbaro sistema economico, frutto dell’egoismo individuale, che colpisce principalmente voi e i vostri fratelli di lavoro e che dissemina sulla terra lutti e rovine.

È venuto il tempo in cui il sogno di Cristo può essere finalmente realizzato. Basta che i lavoratori lo vogliano.
Se i lavoratori dei campi e delle città si daranno la mano; se avranno fede nella giustizia; se comprenderanno che gli uomini sono uguali e che per conseguenza nessuno ha diritto di dirsi padrone di un altro e di vivere a spese altrui, ma tutti hanno l’obbligo di prendere parte al lavoro necessario alla via di tutti; se per vivere umanamente – cioè per diventare liberi, per non aver padroni e godere insieme l’intero frutto delle loro fatiche – i lavoratori, invece di vivere isolati e di farsi concorrenza, metteranno in pratica il precetto di Cristo: Amatevi gli uni cogli altri siccome fratelli, e formeranno dovunque le loro organizzazioni;allora, davanti alla loro crescente e sempre più capace organizzazione, le ingiustizie sociali scompariranno come si dileguano le tenebre dinanzi al sole che nasce. E sorgerà così il mondo buono e lieto della solidarietà umana agognato da Cristo, il “regno di Dio”.

Lavorate a farlo sorgere, o lavoratori!

Se non per voi, fatelo per i vostri figli; i quali – poiché li generaste – hanno bene il diritto che voi vi adoperiate in ogni modo, affinché non siano essi pure costretti a vivere la vita misera e serva che da secoli voi vivete.

Unitevi, organizzatevi! per voi, per le vostre donne, pei vostri bambini; per la difesa dei vostri più indiscutibili diritti; per la redenzione doverosa della vostra classe!

Per voi e per tutti, o lavoratori, abbiate fede nel bene, sappiate volerlo, – sorgete, lottate perché la giustizia sia! Solo in questo modo voi potrete dirvi veramente seguaci di Cristo e raggiungerete la meta ch’egli intravvide e per la quale egli e mille martiri generosamente si sacrificarono.

Lo disse Gesù istesso nel suo famoso “Discorso della Montagna”.

“Beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perciocché saranno saziati”!

“Beati coloro che son vituperati e perseguitati per cagion di giustizia!”

Prendete a guida della vostra vita queste parole, o amici lavoratori, e voi sarete.... socialisti.

Sì, voi sarete con noi, voi lotterete tutti al nostro fianco, perché noi socialisti siamo oggi i soli e veri continuatori della grande rivoluzione sociale iniziata da Cristo.

Siamo noi “gli assetati di giustizia”. Siamo noi che, in nome dell’uguaglianza umana leviamo alta un’altra volta la bandiera dei poveri, dei diseredati, dei piccoli, degli umili, degli oppressi, degli avviliti, dei calpestati! Siamo noi che – innalzando un inno al lavoro produttore d’ogni ricchezza – annunziamo ai ricchi padroni del mondo il trionfo immancabile e il regno dei lavoratori; noi che ci sforziamo ad affrettare questo regno; noi i “vituperati e perseguitati per cagion di giustizia”.( Camillo Prampolini, La predica di natale,Tipografia operaia, Reggio Emilia,1897).

Al cronista sia concesso un solo essenziale commento: oggi ci vorrebbero non uno, ma mille Prampolini per ridare speranza di futuro all’Italia e all’Europa tutta.

Ivo Camerini