L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni – 24

Porte scrostate e chiuse in attesa della riapertura

Diario cortonese di questi giorni – 24

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Riflessioni sull’anima scrostata dalla vita e con le porte chiuse dalla rabbia o dalle cento maschere  indossate nel quotidiano. Riflessioni nel ricordo del grande Luis Sepulveda morto pochi giorni fa. Riflessioni da tenere presenti anche nel futuro prossimo di alcune porte che si riapriranno e di tante altre che dovranno continuare a rimanere chiuse per il bene di tutti. Grazie Anna! (IC)

Diario delle PORTE SCROSTATE

"Una porta chiusa non serve a niente. La tristezza non può uscire e l'allegria non può entrare".
Luis Sepulveda.

Ieri ho camminato un sacco. Due volte lo stesso giro, forse ho sforato e sono andata oltre i 200 metri da casa concessi. Una stradina sterrata sotto casa mia e poi il ritorno da sopra, passando davanti a questa porta chiusa da sempre. Certe porte abbandonate, quando sono chiuse da tanto, troppo tempo, prima o poi si logorano al punto da riaprirsi da sole, ma certo non per volontà loro. E noi? Che succede quando restiamo chiusi da tanto? Ci riapriamo prima o poi in qualche modo?
Pensavo a certe persone con l'anima scrostata dalla vita e tutte le porte esterne chiuse, sigillate dal silenzio e magari da un aspetto impeccabile, un rossetto ben messo, i capelli fatti, oppure una giacchetta grigia con la camicia, un titolo di studio che vale, e un ruolo, un modo, uno schermo. Oppure dalla rabbia, porte chiuse dalla rabbia e dal risentimento. Quanti. Anche io spesso, ma gli altri di più.
Ma camminare migliora tutto. Io non ce l'ho con chi scalpita per farlo di nuovo, perché poi scalpito anche io. Semmai mi urta chi ce l'ha sempre con gli altri e ha sempre capito tutto e insulta e sbraita e critica solo. E non ce l'ho neanche con chi ci ha chiuso dentro, perché da quel poco che ho capito io, anche secondo me era l'unico modo per aiutare la gente a non andarsene, e anche per non intasare gli ospedali. Ma io parlo bene che sono fortunata, che i miei 200 metri concessi intorno a casa (ma poi non ho mica capito, chi dice 50 chi dice 200, io faccio che ho capito 200), sono un posto bello, con la possibilità dei tanti vicoli intercambiabili da percorrere a piedi e tornare a casa potendo dire che in fondo tanto male non si sta. Se abitassi in un quartieraccio buio, coi palazzoni luridi e la tristezza intorno, sapendo di non potermi allontanare oltre quello, magari direi "questi stronzi che ci hanno chiuso in casa." Per quanto forse, mi sa che non lo direi, e magari borbotterei acida con chi non c'entra niente però ha il terrazzo sui tetti del centro, (come un po' ho io, qui nel mio paese). Per invidia. Perché l'invidia esiste e scrosta l'anima anche lei.
Tra pochi giorni sarà possibile percorrere più metri senza paura di essere fermati, dicono. In questi giorni non fanno altro che parlare della "riapertura". E' la parola più usata. Sarà per questo che ieri, nei miei passi su e giù, mi sembrava di vedere solo porte chiuse. Condizionata da quella parola, riapertura. E' che ce la fanno sudare, non solo perché sembra che non arrivi mai, ma perché tanto, è come se ci martellassero con la frase: "però sappiate che...". Cioè, noi vi riapriamo qualcosa, però sappiate che dovrete continuare a stare a distanza di sicurezza. Mascherina e guanti, no gruppi di gente, no baci, no abbracci, no caffè insieme, no aperitivi, no cene, no canzoni, no giochi bambini, no feste, no saggi, no recite, no sport di squadra, no visite nelle case, no preghiere collettive, no cori, no canzoni ascoltate insieme, no incontri d'amore, no uscite con uno che non ti mostra il tampone, no troppe risate, no presentazioni libri, no giornali scambiati, no modi di fare di prima, no vacanze, no più-nic, no no no no no. E dovrò smettere di prendere in giro il modo cortonese che hanno alcuni, (donne soprattutto), che a volte, per esprimere un pensiero, una cosa che non accettano, che non gli piace, che non faranno più, dicono solo: "io no no!". Perché forse, avremo tutti stampato in fronte un bel: "no no". Segue parolaccia pensata e non detta. Generica, rivolta al fattaccio in sé diventato totale ed epocale.
Quante porte resteranno chiuse per quanto altro tempo?
Mi fa paura la chiusura che continuerà della scuola. Quando dicono che non è detto che a Settembre ricominci. Mi fa molta paura questa dimensione della loro vita così tanto cambiata e diventata silenziosa. Come li farà diventare a questi ragazzi. Lo so che tanto dipende da noi genitori, ma fino a ieri tanto dipendeva da noi genitori e dalla scuola. E ora? Ho paura del silenzio attorno a loro, ai ragazzi, perché in questo periodo ho capito che loro in silenzio ci sanno stare, mentre noi no, noi non siamo riusciti a farlo manco adesso, a forza di dire sempre la nostra, litigare e fare i cori greci Ma il silenzio attorno ai bambini invece si sente, ha qualcosa di pesante, e sembra un luogo poco allegro.
Poi però, c'è domani. Cito di nuovo Dave Eggers e il suo "eroi della frontiera". Come noi, facciamo finta.
Ieri in una strada silenziosissima ho fotografato questa porta scrostata. "Le nostre anime scrostate", sarebbe un bel titolo, non me lo rubate. E le porte che sbattiamo, chiudiamo, riapriamo arrabbiati e richiudiamo di nuovo? Aprirle e basta.
"Una porta chiusa non serve a niente, la tristezza non può uscire e l'allegria non può entrare."
Questa porta della foto non è certo stata chiusa solo dall'inizio del coronavirus, ma chissà da quanti, quanti anni. Tanto che il legno è talmente logoro che tra un po' si apre.
L'ho fotografata col telefono e poi a casa l'ho riguardata. E mi sono accorta che in tutto questo legno scrostato c'è una piccola apertura a forma di cuore. Voi la vedete?
E così, l'ho preso come un segno bello.


Anna Cherubini