L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni – 25

Storie di vita per riaprire le nostre porte al domani e per tornare allegri

Diario cortonese di questi giorni – 25

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Riflessioni sull’importanza dei racconti di storie di vita, leggere seppur romanzate, che aiutano a guardare al domani con l’allegria della gioventù e i sentimenti, le ragioni del cuore. Grazie Anna! (IC)

Diario delle STORIE

Oggi posto l'inizio di un romanzo su cui stavo ancora lavorando, di cui a volte, per buon auspicio, ho postato il titolo "torneremo allegre". Adesso non so più se me lo pubblicheranno mai, ora che tutto è un po' cambiato. Non solo l'editoria ma anche la nostra percezione delle storie. Non se se questa mia, adesso sarebbe i sintonia con i tempi che verranno. Magari sì.
Io nelle storie continuo a credere sempre. Oggi mi piace regalarvi un pezzetto di questa. Metto una foto di qualche giorno fa, una porta aperta e mia figlia che cammina oltre insieme a una palla da gioco. Mi piace pensare che nessuna porta si chiuderà mai finché esisterà una storia da raccontare. Vado. E' qui sotto.

La scusa è che tutto può essere una storia. Nefeli pensa che anche le cose brutte se le metti in una storia scritta, o anche solo raccontata a qualcuno a cui tieni, abbiano lo stesso un senso. Almeno per chi resta. Almeno fino a che si è abbastanza giovani da crederlo.
Nefeli ha una storia anche nel suo nome. Lo ha scelto sua madre Maria ai tempi in cui la Grecia era ancora parte della sua vita, quando aveva ancora i capelli ricci, lasciati al loro andamento, e indossava una camicia bianca, di lino profumato, sopra il costume. Quando ancora, ma non troppo, le potevano piacere certe cose scapestrate.
Maria le ha raccontato come a quel tempo venne fuori quel suo nome greco, Nefeli. Accadde in un’isola del Dodecaneso, una delle più lontane, dove tutto è bianco oppure color lapislazzuli, ad esempio il cielo, che per tutto l’anno è sempre e solo così.
Maria era arrivata all’isola con Ettore. Lo aveva conosciuto pochi mesi prima alla mensa universitaria della loro università di Roma. Lei medicina lui architettura. Lei greca lui romano. Non erano fidanzati, ma nemmeno amici del cuore. Erano qualcosa ancora senza nome, una situazione, delle notti insieme strappate al rigore di lei, che non si lasciava mai andare. Non si lasciava mai trascinare dalla corrente. Quello era l’anno della sua laurea e per nessuna ragione si sarebbe distratta, neanche per il sorriso di lui che si nascondeva dietro una barba giovane ma risbucava sempre dagli occhi. Lei però restava rigorosa, non beveva, non fumava, non faceva tardi la sera. Al limite d’estate, in vacanza, qualcosa si concedeva. Come quella volta da appena laureata, con la camicia bianca, perfetta sopra gli occhi neri, che restava un po’ aperta sul sopra del costume, su un davanti da donna del Mediterraneo appena scesa da una nave. Quel minimo di abbandono, finalmente concesso, faceva impazzire Ettore, con cui era partita per l’isola senza aver ancora formulato quella definizione di cosa erano insieme. Partita con lui e con certi amici di lui. Loro romani e lei greca. Loro ancora studenti chissà per quanto, e lei pronta al tirocinio in ospedale una volta tornati.
In quell’isola, greca come lei, da giugno a settembre è impossibile vedere una nuvola. Lo dicono tutti gli isolani. Puoi restare in mare aperto per giorni, ma se non hai una bussola e smetti di vedere le rocce che disegnano il vicinato dell’isola, che fanno da riferimento, non saranno le nuvole a guidarti.
E invece quel giorno ne comparve una. Una nuvola bianca, vaporosa, per niente cupa, tutt’altro. Proprio quando Maria ed Ettore si erano allontanati al largo con una barca piccola, a motore, in un pomeriggio di corrente. Un po’ troppo al largo e con un po’ troppa corrente.
Erano soltanto loro due, del pane da intingere nell’acqua salata e strusciare sui pomodori, una bottiglia di “ouzo” fatto con anice buono. E il vento, il meltemi, che li aveva trascinati abbastanza lontano da fargli perdere la direzione.
Ebbero un po’ di paura, ma neanche troppa. L’incoscienza della giovinezza fa da scudo ai pensieri di morte.
Per come si era messa la loro storia, in quelle ore di onde tra loro ancora più gioiose di quelle del mare, non era da credere che sarebbero tragicamente morti annegati. Infatti non accadde. Ci fu quell’unica nuvola comparsa da sola nell’arco di tutta un’estate che gli dette una mano e gli restituì la rotta, prima che facesse buio.
Nove mesi dopo nacque Nefeli, che in greco vuol dire Nuvola.

Anna Cherubini