L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni - 11

Un mese che sembra due anni.

Diario cortonese di questi giorni - 11

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Grazie Anna! ( IC )

Diario di un MESE INFINITO

Era solo un mese fa, un sabato pomeriggio, che vennero a lezione di piano da me le mie ragazze, e io iniziai a pensare che non fosse prudente stare vicini, mettere le mani sulla stessa tastiera, parlare di musica viso a viso. Sentivo uno strano filo isterico salirmi su e giù, diverso dall'enorme matassa di isteria che mi sale su e giù sempre. Questo era più forte. Quel giorno si presentarono a casa due amiche di mia figlia, con lo zainetto, pronte al pigiama party del sabato sera che si svolge spesso a casa nostra. Io feci un pezzo da acidona più performativo del solito, perché mia figlia non mi aveva avvisato dell'ennesimo pigiama party organizzato da noi, e lei tutta dispiaciuta diceva: ma dici sempre che ti fa piacere quando vengono a dormire qui le mie amiche, pensavo che... E invece pensava male, perché di colpo ero diventata più isterica del solito. Chiamai le mamme delle amiche e, neanche troppo gentilmente, chiesi di venirle a riprendere. Madre terribile. E loro capirono e anzi, si scusarono per "l'imprudenza". "Sei cattiva!" mi disse mia figlia una volta rimaste sole. E infatti mi sentii cattivissima (e infatti non venni mai perdonata, mi ricorda ora lei mentre sbatte le uova per i pancakes), e mi scusai cento volte con le mamme, richiamandole, dicendo: "tra una o due settimane al massimo potranno fare i pigiama party che vogliono".
Stacco.
Sono passati 2 anni da allora. No, sbaglio, in realtà soltanto un mese. Ma sembrano 2 anni. O forse, è la mia testa che si proietta al giorno in cui diremo "ai tempi del coronavirus" e non ci sarà più coronavirus in giro. Debellato? Non lo so. Istituito il vaccino? Forse, speriamo. Quando lo istituiranno, il vaccino, andremo a farlo vestiti bene, perché sarà un po' un giorno di festa. Mica come quando l'asl mi mandò la raccomandata che dovevo ancora vaccinare i miei figli di vaccini vecchissimi mai fatti. E io non glieli avevo fatti per dimenticanza e pigrizia, e anche perché non avevo ancora avuto voglia di mettermi lì a leggere che rischi comportavano e altro, non certo per motivi ideologici. E, vergogna, ogni volta che mi davano un appuntamento per uno dei vaccini, da fare uno per volta, mi dimenticavo e mi richiamavano. Madre terribile, l'ho già detto vero? Alla fine le abbiamo fatte, queste punturine al braccio neanche troppo dolorose, e la dottoressa dell'ambulatorio era talmente carina che ci è pure dispiaciuto averle finite.
Non vedo l'ora che venga il giorno in cui andremo lì tutti e tre. Entreremo nella parte retro, quella proprio della stanza vaccinazioni, di questo edificio rossiccio dell'asl di Camucia, tutto di mattoncini e finestre all'inglese, quasi una casa vittoriana affacciata però sulle nostre romantiche colline, e ci metteremo in fila, vestiti bene, io truccata e coi capelli ritinti con cura dalla parrucchiera invece che impiastricciati di acqua ossigenata a casa mia da me, e aspetteremo il nostro turno per il vaccino Covid 19. Mi sa che porteremo anche dei cioccolatini, per la dottoressa che ce lo farà. Anzi, lo dovremmo mettere come proposito: per il vaccino Covid 19, oltre ad un abito nuovo, compreremo un piccolo dono a chi ce lo farà, per simbolo.
Stacco.
Rieccoci ad ora. Ho capito che quel giorno non verrà tanto presto. Arriverà tra tanti mesi, a loro volta lunghi degli anni, come quello appena trascorso. E tanti altri giorni, fatti di nulla, di cose che un tempo mi sembravano banali: mandare i ragazzi a scuola, passare alla posta, fare la spesa, lavorare per spedire il lavoro a chi di dovere, prendere un treno per Roma per andarlo a discutere, controllare se è arrivato il bonifico, aspettare il sabato per un aperitivo in piazza, accompagnare i miei figli a fare un vaccino dopo diciotto gentilissimi solleciti.
In casa intanto è diventato buonissimo persino il decaffeinato. Così come i duecento metri di distanza da qui a un posto che si chiama Porta Montanina mi sembrano il paradiso, (e un po' lo sono). Il Paradiso proprio come qualche volta te lo sei immaginato: una strada, i prati verdi attorno, le colline, dei muri antichi che recingono qualcosa ma non fanno paura, uno sporadico incontro con qualcuno che cammina nella direzione opposta e poi lo riconosci.
Sì, tutto bello, ma ancora più bello del pensiero del paradiso, che speriamo continui a non riguardarci affatto nonostante il virus, è il pensiero di un caffè al bar.
Sembra così lontano, quel caffè che andavamo a prendere per iniziare la giornata. O quello del dopo pranzo per vedere un'amica per dieci minuti, e quell'altro da fare a casa dopo che la giornata era stata piena.
E intanto faccio le cose di tutti. Il pane, principalmente. Il padre dei miei figli quando viene così buono e glielo mando, (perché poi sono anche giorni di gesti gentili, va detto), lo fotografa e mi manda la foto, gentile anche lui.
Altre cose che faccio? quasi niente. Fine. Aspetto. Aspetto che il prossimo mese duri meno di un anno. E magari provo a smettere di infornare pane che poi un pezzetto tira l'altro e si ingrassa. Magari inizio una dieta, come ho fatto negli ultimi dieci anni almeno una volta al mese. Così magari se butto giù due grammi mi cadrà anche meglio quel vestito nuovo che comprerò per andare coi miei figli a fare il vaccino Covid 19. Aspetto.

Anna Cherubini