L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni – 5

Finiti questi giorni” scordati” sarà bene “accordare” tutto.

Diario cortonese di questi giorni – 5

Su Fb di quest’oggi troviamo questo nuovo bel post che volentieri pubblichiamo per i nostri lettori. Sono riflessioni che Anna ci regala partendo dalla sua passione per la musica e il suo pianoforte che ci dice essere “scordato” come le tante cose della nostra vita di questi giorni. Grazie, Anna! (IC )

“Diario di un ADAGIO SCORDATO

Il mio pianoforte è scordato. Avrei dovuto farlo accordare da tempo, prima che tutto succedesse. Non mi decidevo mai. Un po' avevo aspettato il trasloco, che quando li sposti si scordano anche di più, un po' non trovavo a chi affidarlo, un po' una volta fatto il trasloco c'erano state tante spese. Così, povero, gli è rimasta la voce un po' roca, le vibrazioni un po' sotto, la pressione dei tasti bassa. Ora di certo non mi verrà nessuno ad accordarlo. Però il mio pianoforte, anche se ha un'età di acciacchi e un bisogno di check up ogni tanto, mantiene una voce densa e sublime, da sempre, anche quando resta scordato. Mi ricordo che mio padre lo pagò un botto (non smise mai di dirmelo), pur comprandolo usato dalla signora Romagnoli, una cantante lirica che viveva accanto a Gabriella Ferri, in una casa strapiena di musica. Secondo me lei e mio padre avevano un feeling speciale ma non fu mai detto. Sarà stato anche per questo che lui ci teneva tanto al mio impegno. Sarà stato anche per questo (nel rispetto di mia madre, ma sempre attratta, io, da quel feeling segreto e proibito con la cantante lirica), che ho studiato caparbiamente per dodici anni, esami al Conservatorio, maestri di antico stampo. Poi però, a ridosso del diploma mi travolse la passione per la scrittura, che non era affatto lontana da quella per la musica, diciamo che erano parenti strette. Ed ero abbastanza grande da pensare al mestiere di scrivere, e poi studiare tanto anche per quello, imparare il lavoro ben pagato della scrittura delle fiction, poi dei libri, poi il matrimonio, i figli, i cambi di scena.
Una volta, nei tanti anni che ho trascorso senza neanche toccarlo, il mio piano, meraviglioso personaggio di casa vestito sempre di nero lucido e oro, (sulla parte meccanica dei martelletti si scoperchia lateralmente come i pianoforti a coda), chiamai un accordatore. Questo signore gentile, mentre ci lavorava su, mi chiese di non farlo più soffrire, il mio pianoforte. Che voleva dire? Che uno strumento (soprattutto uno strumento tanto bello e prezioso), se non viene suonato soffre. Soffre proprio. Poi te la fa pagare restituendoti in cambio un suono spento, insulso. E tu che fai? Gli chiedi scusa?
Cazzarola. Parole che mi sono portata dietro da allora. Uno strumento abituato a vibrare, a cantare, se non viene suonato soffre, invecchia male, come le donne che invecchiano male. Impoverisce il suo suono, perde la sua voce, e dopo a chi viene voglia di accarezzarlo ancora e farlo suonare?
Tre anni fa mi sono rimessa a studiarlo, e nel tempo ho creato una piccola classe di ragazzi che vengono a lezione, qui a Cortona. Che mi danno grandi gioie. E che ora mi mancano. Ho un allievo, un ragazzo quasi maggiorenne, con cui ci mandiamo i brani su YouTube. Ha scoperto di amare Beethoven, gli piace parlarne. Io gli dico che il mio preferito è Chopin, però certo, in questi giorni Beethoven ci dice più cose, ci parla di più.
Così io ora che non usciamo, studio. Studio il mio piano. Studio è diverso da "suono". Suonare è bellissimo ma è la parte successiva, quella della soddisfazione finale. Studiare invece è un'azione caparbia, imperiosa come una scelta, richiede concentrazione, fa arrabbiare, mica roba da poco. Una scelta che ricorda quanto un tempo ero severa con me stessa. Ora meno. Che gran peccato. Ho scordato quella severità che poi mi regalava le soddisfazioni di un adagio perfetto.
Ho scritto tempo fa alla mia maestra di piano di quando ero ragazza. All'epoca era una bellissima giovane donna bionda, ora una bella signora in là con gli anni. Voglio sentirla in questi giorni, chissà come sta. Chissà come stanno tante persone che sono state importanti per noi. Ci pensiamo tanto in questi giorni, vero? Bisogna che scrivo a molte di loro, per saperlo. E' un tempo che ci invita a scordare ciò che suonava insulso e spento, e a riaccordare, a riprendere, ogni nota importante, vi sembra?
Il mio pianoforte è scordato, sì. Lo sono tante cose. Anche i brani che ho studiato da giovane.
Ma ora li sto riprendendo. Sarà che in questi giorni di troppo silenzio, sentiamo forti le voci della sera. Io almeno. E alcune di queste suonano così bene, ma così bene dentro di noi, che ci chiedono di non abbandonarle, di non abbandonarci. Di non lasciare che gli strumenti preziosi smettano di essere suonati.
C'è questo brano di Beethoven, l'Adagio della Sonata n. 3 op. 2. Lo suonavo da ragazza, lo avevo studiato bene. Non ricordo se piacesse a mia madre o a mio padre. A me molto. Me lo ricantavo a mente andando a lezione, passando per piazza Navona quando andavo dalla maestra bionda e bella. O forse era dal maestro dopo, bruttino lui ma simpatico, a via Madonna dei Monti, verso il Colosseo. Posti così, da attraversare cantandosi un Beethoven in testa e a quel punto non accorgendosi nemmeno di inciampare sui sampietrini per terra.
L'altro giorno l'ho studiato bene, il mio Beethoven scordato, quell'Adagio, quell'Adagio immenso, sconosciuto, infinito. E' difficile, ma io voglio finire questo periodo di sospensione addolorata con un Adagio che mi verrà perfetto.
E mentre lo suono, mi sembra di rivedere tutto. Non solo quei ricordi diventati color seppia, perché ahimè, nei mari della nostalgia io ci sguazzo proprio, ma rivedere anche tanto di adesso.
Per quanto mi riguarda non diventeremo più buoni dopo il Coronavirus, credo che diventeremo semplicemente più essenziali nei lati buoni e in quelli meno, che già avevamo. Io sono cattiva con il suono degli uccellini fuori, preferisco quello del traffico o delle campane delle chiese, o le voci. Sono cattiva con le bollette che abbandono nei cassetti, con chi mi sta antipatico anche senza motivo, con l'omeopatia, con i radical chic quelli livorosi, (perché poi magari sono anche una di loro), con un sacco di altre cose.
Mentre suono l'Adagio di questa sonata, e anche l'Adagio della n. 15, cosiddetta "patetica" (guarda un po'), scordato anche quello, mi vengono in mente quelli che sono andati via, quelli che stanno lottando per restare, e come sempre, in questi giorni, (è un'immagine fissa) quelli che stanno lì con le loro armature di plastica a misurare saturazioni, a fissare caschi d'ossigeno, a fare tac, a salvare vite o piangere per quelle non salvate, rischiando la loro. Lo so che le mie note non gli arrivano, né quelle di nessuno. Ma se invece fosse? Magari dove non arrivano le preghiere arriva Beethoven, o no?
Un adagio scordato. I numeri di ieri migliori di quelli del giorno prima. La targa del negozio di mio padre con scritto "open", sopra il mio pianoforte. La focaccia preparata coi miei figli. Le risate buffe, i discorsi seri. Una chiacchierata notturna speciale.
Quando questo film di fantascienza reale sarà finito, io voglio accordare tutto. Ogni tasto. Ogni nota. Tutto"

Anna Cherubini