L’Etruria

Redazione |

Il cicilista e campione Eros Capecchi si racconta

Il cicilista e campione Eros Capecchi si racconta

Di Davide Moimare

Immaginate di girare un film con il vostro attore preferito, di chiacchierare del più e del meno con uno dei cantanti che ascoltate abitualmente o di fare due tiri al pallone con un giocatore di seria A. Questo non sarà molto probabile che vi accada. Per noi ciclisti amatori il discorso cambia, infatti può accadere che durante un uscita si possa incontrare un Pro che si sta allenando. Quindi se avrete un po' di forza nelle gambe, un po' di educazione e discrezione, non sarà difficile che riusciate a stare per qualche km, e forse anche più, con lui riuscendo così a scambiare qualche parola.

Ma in caso abbiate questa occasione non pensate di competere con lui! Di voler dimostrare qualcosa, qualunque sia il vostro livello. Un Pro viene da una selezione naturale già da ragazzino, è seguito a sua volta da un equipe di professionisti e fa davvero molti km di qualità!

Piuttosto se avrete questa fortuna usatela per “rubare” qualche buon consiglio, non solo con la conversazione, ammesso abbiate il fiato per farlo, ma anche e soprattutto con gli occhi. Vi troverete vicino ad un ragazzo che col tempo e la passione ha acquisito un’esperienza notevole non solo sportiva ma soprattutto di vita.

Ho qui davanti a me un compaesano, un ciclista attualmente in attività, con alle spalle ben 17 anni di professionismo! Eros Capecchi.

 

            Ciao Eros, come stai?

Ciao David. Bene, sto bene a livello sportivo, sono contento della mia vita e di come si sta svolgendo la preparazione, sto trovando stimoli nuovi e in questo periodo sto allenando muscoli che di solito uso meno e in maniera diversa. Anche a livello personale sono contento, a parte questo maledetto Covid, che però è un problema che ci riguarda tutti. Io personalmente mi ritengo fortunato perché a livello di famiglia stiamo tutti bene e questo è molto importante.

 

            Con il tuo aiuto vorrei subito sfatare un mito, cioè che un professionista per allenarsi deve sempre andare a tutta, quanto è importante il riposo? Sia quello attivo, sia quello passivo, e quale dei due preferisci?

Guarda, sicuramente è importante anche andare forte durante gli allenamenti, perché è vero che sono ancora un ragazzo, ma a livello sportivo a questa età si incomincia a guadagnare in termini di resistenza, ma si perde un po' in termini di potenza ed esplosività. Quindi è importante anche dare della buona intensità durante l’uscita. Proprio da quest’anno ho cambiato il modo di allenarmi, prediligo più la brillantezza, la qualità dell’allenamento stesso che la durata, quella la farò più avanti con allenamenti anche in altura. Mi sto concentrando sulla coordinazione della pedalata, sull’impulso neuromuscolare e sto curando molto la palestra. Poi parlando di recupero, ovviamente questo è importantissimo, ma tornando al discorso di giovane o meno giovane, da ragazzo puoi anche permetterti di stare fermo, cioè fare recupero passivo, ma dopo i 30 anni trovo molto più utile fare un’uscita. Magari puoi uscire un’ora, andare a prenderti un caffè, fare due chiacchiere e poi quando rientri sei un po’ più libero a tavola senza dover stare troppo attento. Quindi adesso preferisco il recupero attivo sento che riesco a eliminare meglio le tossine e mi rilassa anche a livello mentale. Poi, comunque, il recupero attivo o passivo è un qualcosa di molto soggettivo.

            C’è una frase che ti ha cambiato la vita, che ti ha fatto capire o dato la forza per essere la persona che sei oggi?

Io sono sempre stato attento ai detti dei vecchi, ho sempre cercato di fare tesoro di quello che mi dicevano gli anziani, ma una frase in particolare non c’è. Ora che ci penso però mi è rimasta nella testa la frase di una canzone Rap “l’uomo fa i soldi, non i soldi l’uomo”. Secondo me questa è una cosa che molti, arrivati a un certo momento della carriera, perdono un po' di vista, perché do molta importanza alle persone e non le giudico per quanti soldi hanno. Per me vale molto più una persona che è contenta di fare ciò che gli piace che una persona che è schiava di un sistema legato ai soldi. Io vengo da una famiglia contadina dove si sa che la passione per l’agricoltura supera il fattore economico. Ecco, questo mio pensiero si può applicare alla vita in generale non solo allo sport, che per me un giorno finirà, ma rimarrò sempre una persona con dei valori. Campioni della propria vita prima di esserlo nello sport

            Com’è nata la tua passione per la bici? Qualcuno della famiglia o qualche amico te l’ha trasmessa o è nata semplicemente dentro te?

Ma guarda io da bambino giocavo a calcio, spinto un po' dalla famiglia, perché ero veramente molto agitato e per tenere un po' a bada le mie energie cercavano di farmi stancare così. Ma in quel momento della mia vita non è che mi piacesse tanto, non amavo molto la prepotenza e lo scontro fisico. Così visto che mio nonno era molto appassionato di ciclismo e mio padre aveva corso hanno deciso di mettermi in bici, ma proprio così per gioco, per provare a stancarmi un po'. Inizialmente lo facevo solo per far contenti loro. Poi sai si cresce e arriva anche la passione, ma penso che la vera svolta sia arrivata quando ero allievo e ebbi un problema alla schiena. Sono stato ricoverato a Lucca, dal Dott. Castelacci medico della nazionale, e i momenti di sofferenza molte volte fanno anche molto crescere e riflettere sul futuro. Quindi siccome non amavo molto la scuola mio padre mi disse: senti se prometti che butti anima e corpo nel ciclismo ti faccio fare solo quello. Io dissi: ok dove devo firmare

            Ti ricordi il giorno che sei passato professionista?

Sono passato professionista nel 2005, chiaramente per me è stato l’incoronamento di un sogno, quell’anno ho firmato con la Liquigas come stagista, bruciando anche un po’ le tappe, e per la prima volta mi sono trovato in una squadra world tour. Ricordo che la prima gara da Pro è stata la Due Giorni Marchigiana

            Quanto sono importanti per te gli amici? Avere intorno a te un ambiente e persone positive quando ti alleni o prima di una gara?

Guarda, purtroppo da ragazzo non ho potuto coltivare molto le amicizie perché ero sempre molto impegnato rispetto a loro. Ora invece oltre la famiglia che mi sostiene sempre, ho una cerchia di amici di 5-6 persone che mi stanno sempre vicino più tanti altri che mi vogliono bene. Nell’arco della vita ho imparato a fare anche una selezione un po' come tutti, non è facile trovare persone serie e sincere, ma ora sono quelle che mi aiutano davvero tanto anche nei momenti più difficili. Ad esempio, ora sto facendo parte della preparazione con Marco Pesci, che ha fatto questa scommessa, aiutarmi a raggiungere ottimi livelli per fare una stagione al meglio. Lui è una persona che mi è stata spesso vicina, una persona anche molto preparata, anche nei sette anni che ho vissuto a Monaco comunque ci si sentiva. Ricordo che quando ero alla Fuji-Serveto venne con me al giro di Svizzera come massaggiatore. Era stata una bella esperienza, perché comunque avere in squadra una persona che conoscevo bene, un amico, è stato importante. A quel giro ero partito un po’ demoralizzato, poi una sera durante il massaggio, dopo un lungo silenzio Marco mi disse: senti se devi correre così prendiamo e torniamo a casa perché so quello che vali! Il giorno dopo, tappa con arrivo in salita, il direttore sportivo mi diede carta bianca e arrivai insieme a tutti i migliori

            Ti piace essere salutato per strada mentre sei in bici?

Sì, naturalmente, ma al contrario non mi piace quando saluto io e non contraccambiano. Io saluto sempre tutti anche chi non conosco. Forse spesso noi ciclisti professionisti siamo più umili di alcuni amatori. Io saluto anche gli automobilisti che gentilmente dimostrano di avere un occhio di riguardo per la categoria. Sono una persona molto rispettosa per strada, chi fa il nostro lavoro lo è, lo diventa

            Tu sei uno dei professionisti più eleganti da vedere sulla bici. Quanto è importante per te lo stile?

È importantissimo! Il problema che è una cosa innata, o ce l’hai o non ce l’hai. La puoi curare, magari a bassa intensità, ma poi quando incominci a spingere finisci per scomporti. Ci sono molti professionisti che non sono belli da vedere sulla bici, pur riuscendo a sviluppare potenze e prestazioni fuori dalla norma. L’eleganza l’ho sempre curata ma per lo più devo ringraziare madre natura.

            Qual è la tua giornata tipo quando sei a casa ad allenarti?

A me non piace stare a letto a lungo, quindi dal momento che mi sveglio mi alzo subito, sempre tra le 7 e le 8. Accendo la stufa a legna e la macchina del caffè, preparo la tavola per la mia compagna e poi faccio a mia volta una buona colazione abbondante. Esco in bici e al ritorno un pranzo molto leggero. Mentre il pomeriggio spesso lo passo in palestra. Di solito ceno presto e poi letto o comunque tv e mi rilasso. Tutto qui non c’è molto da dire.

            Per te cosa significa essere un professionista e avere la possibilità di girare il mondo e conoscere tantissima gente di molte culture diverse? Quanto ti ha dato tutto questo nella tua vita privata e quanto ti ha fatto crescere?

Significa continuare a vivere un sogno iniziato 17 anni fa. Poi ti senti la responsabilità di essere d’esempio anche per gli atleti più giovani. Vivere con altre persone di altre culture mi ha dato tantissimo, non avendo studiato, come ho detto prima, ho comunque imparato due lingue. Ho imparato a vivere con migliaia di persone di mentalità diverse. La vita è una vera e propria scuola, sento di aver vissuto molto più di altri e non mi sento affatto in difetto quando parlo con persone che hanno studiato molto, anzi molte volte girare il mondo ti insegna ciò che sui libri non c’è scritto.

            Ti ricordi qualche episodio strano o particolare che ti è capitato in giro per il mondo?

Mah, la cosa più strana è stata quest’anno quando è esploso il caso covid. Eravamo negli Emirati Arabi, siamo partiti che eravamo consci del problema, ma ancora non era esploso come poi è successo. E niente, noi ci siamo trovati a dover interrompere una corsa, svegliati a mezzanotte, ci hanno detto che il giorno dopo non saremo partiti. Che bisognava stare tutti in quarantena. Non si sapeva niente neppure quando avremo potuto tornare a casa, in che tempi, c’è stata davvero tanta confusione. Poi per il resto noi quando siamo in giro per le gare abbiamo un mondo tutto nostro molto chiuso e ripetitivo, con persone che ci fanno trovare tutto pronto quindi a parte la gara stessa non succedono cose molto strane.

            Per te cosa significa la parola libertà?

La libertà è fare ciò che ti piace, che non tutti hanno la possibilità di fare. Già la bici per me è libertà, quando mi alleno in fondo non ho orari, posso andare ovunque. Sicuramente sono fortunato rispetto all’operaio che sa che alle 8 deve entrare al lavoro.

            Hai conservato delle tue vecchie bici? E ce n’è una a cui sei particolarmente affezionato?

Quasi tutte, quando ho avuto la possibilità di tenerle l’ho fatto. Sono molto affezionato alle bici di quando ero piccolo e mi venivano regalate da mio nonno. Sono tutte Colnago, quelle le ho conservate tutte molto gelosamente.

            Senza parlare di marche specifiche, ci sono differenze di prestazioni tra bici? O ormai la tecnologia ha livellato un po' tutto?

Io sostengo che oggi sono tutte a ottimi livelli, poi forse cambia un po' l’aerodinamica e il peso ma questo dipende un po' anche dalle caratteristiche di cui si ha bisogno. Diciamo che ormai le bici non vengono fatte più su misura, quindi c’è un certo standard, bisogna avere anche la fortuna di correre con una bici che ricalca le proprie geometrie. Due marche della stessa misura non avranno mai le stesse geometrie.

            Oltre all’Italia, che penso sia la nazione più bella per molti motivi, c’è un’altra nazione dove ti sei trovato molto bene, dove ritorni sempre molto volentieri?

Allora io più che nazione, con le persone, per dire io con i Belgi mi sono trovato benissimo. In Belgio si può dire che ho lasciato una famiglia e mi sento sempre molto volentieri con loro, anche se in quelle zone non ci sono corse adatte alle mie caratteristiche. Come nazione invece mi piace tantissimo l’Australia, anche perché comunque è una trasferta che vivi un pochino di più, dovendo partire con alcuni giorni di anticipo per abituarti al fuso orario. Quindi ho la possibilità di viverla anche po' da turista, di solito in ogni trasferta non ho il tempo di vivere al di fuori della competizione. Poi l’Australia è un paese che è sempre caldo, e io amo il caldo.

            Secondo te esiste un limite? E questo è più fisico o mentale?

Ormai noi sappiamo che limiti fisici abbiamo, che però possono essere superati dal fattore mentale. Il limite è più mentale che fisico, anche perché noi siamo super scrupolosi, super preparati, siamo giovani, ma poi alla fine a lungo andare quello che ti viene a mancare è proprio lo stato mentale. Qui subentra la forza della squadra, il direttore sportivo, il massaggiatore che alla sera ti funziona anche da supporto morale oltre che fisico e magari anche la telefona a casa con l’amico la ragazza o comunque la famiglia. Sicuramente non è sempre facile restare lontano dalle persone più care, specie in certi momenti.

            Qual è stata la tua gara o uno dei tuoi giorni più duri?

Mah, giorni duri ce ne sono tanti. Ricordo in particolare il primo Giro D’Italia, avevo subito tre cadute e mi si era ruotato il bacino, avevo un dolore mostruoso alla schiena, all’epoca non avevamo ancora l’osteopata che ci seguiva in squadra. Quindi ricordo

un giorno, tappa molto dura col Carpegna, pioveva, e ad un certo punto durante la salita presi, scesi dalla bici e la buttai via. Caso vuole che proprio in quel punto c’era una persona, un amico, che mi rimise in bici e mi disse: dai dai! Tieni duro non mollare! Insisti, insisti! Poi anche Pietro Algeri, il mio direttore sportivo, mi diede una mano, dicendomi dai dai è importante finirla questa tappa! Quindi alla sera poi mi feci trattare da un osteopata e il problema alla schiena svanì e riuscii a finire il mio primo Giro. Insomma, di giornate dure ce ne sono davvero tante, quello che c’è di bello nel ciclismo, nella mentalità del corridore, è che tu arrivi dopo una gara durissima, stravolto, sfinito e appena scendi di bici sei resettato, dimentichi le tue fatiche è incredibile! Anche perché se no non ci risaliresti!

            La tua velocità massima raggiunta in discesa?

Allora alla Vuelta a Burgos, se non sbaglio, era il 2008, in discesa toccai i 117km/h frenando perché altrimenti sarei riuscito a fare anche di più. Eravamo tutti in “bolla” poi sai incominci a pensare se ti scoppia un tubolare, o altro, ma poi in fondo che fai gli 80km/h o i 110 cambia poco in definitiva ti fai sempre male, ma sai, la percezione è un po' diversa.

            Hai delle paure? E queste sono più in bici o quando sei a casa che pensi a qualcosa?

Mah, le paure non fanno molto parte di me, più che paure ho delle attenzioni. Le paure più grosse sono quando vai in bici, dell’automobilista distratto, che magari non ti vede. Sono paure più legate a fattori esterni, che non puoi controllare, dal modo di vivere che ormai abbiamo sempre più di fretta. Sì, più che paure ho attenzioni che magari ti portano anche a prevedere qualche incidente. Poi sono abituato ad affrontare i problemi quando arrivano, anche per il mio modo di essere, perché fasciarsi la testa prima di rompersela non è molto positivo né proficuo.

            Eros, un ricordo che ti fa emozionare tantissimo?

Non ho ricordi che mi fanno emozionare tantissimo. Ovviamente, ad esempio, ricordo la tappa che ho vinto al Giro, al passo San Pellegrino nel 2011, che subito dopo l’arrivo mi sono venute in mente due persone che avevo perso. Mio nonno un pochino prima e il mio cuginetto era mancato qualche mese prima quando ero a correre in Argentina. Se ripenso a quel preciso momento, più che la vittoria, che chiaramente è una cosa emozionante e che fa piacere, è l’emozione che c’è stata nel pensare a loro.

            Molti si domandano come fa un Pro a mantenere la linea, tu hai dei programmi per questo? Che consigli ti senti di dire a un amatore, ma in fondo a qualsiasi persona per restare in forma nella vita quotidiana?

Mah, a noi ovviamente viene molto più semplice perché comunque stando sempre in attività si bruciano molte calorie anche se chiaramente anche tra noi c’è chi ha il metabolismo più lento. Però ti accorgi che andando in palestra, facendo tanto sport, stai bene, e questo poi ti dà un benessere psicofisico che te lo ritrovi nella vita, poi anche per la bici, ma anche per la vita quotidiana.

Chiaramente abbiamo anche dei nutrizionisti che ci seguono, ma poi impariamo a conoscerci col tempo. Penso che il consiglio migliore che posso dare sia quello che più si impara a volersi bene e più ce ne vogliamo, bisogna entrare anche in questo schema mentale.

            Il tuo cibo preferito a cui non potresti mai rinunciare?

Io sono una forchetta clamorosa! Mangio veramente tutto! Non c’è un cibo che prediligo particolarmente. Ti posso dire ad esempio che dopo un grande giro ho sempre il desiderio di una frittura mista, forse proprio perché durante gli allenamenti, le gare, non la posso assolutamente mangiare, si sa molte volte si ha voglia di ciò che non si può mangiare. Poi amo la carne rossa, una bella tagliata me la mangerei volentieri anche tutte le sere.

            Che rapporto hai con la tecnologia? Ti piace analizzare i tuoi dati o preferisci più basarti sulle tue sensazioni?

A me piace essere molto analitico sulle mie prestazioni, su quello che ho fatto e a che punto sono della preparazione. Anche perché ormai siamo anche un pochino vittima di queste cose, dobbiamo conviverci e usarle in maniera più positiva e produttiva possibile. Sono una persona molto meticolosa e precisa, chiaramente le sensazioni sono sempre le più importanti.

            Come lo vedi il tuo futuro in bici quando smetterai di correre? Hai mai pensato di fare dei viaggi in bicicletta? Ad esempio, come quello che ha fatto ultimamente Jovanotti in Cile?

Allora ti dico che a me piace molto andare in compagnia in bici, non sono uno a cui piace partire in solitaria. Quindi se trovassi la compagnia giusta e una buona metà mi piacerebbe sì. Ad esempio, con un amico stiamo parlando di fare una Milano Ostuni in bici, cose del genere, con più tappe naturalmente. Ora sono molto allenato, ma chiaramente il giorno che smetto di fare agonismo qualcosa perdo. Mi piacerebbe partire con le varie borse, dormire un po' dove capita, sai noi professionisti non abbiamo molto tempo per goderci la bici in maniera turistica. Sicuramente il pedalare sarà una passione che non penso perderò.

            Tu sei un atleta nel fisico e nella mente. Se non avessi fatto il ciclista cosa ti sarebbe piaciuto fare?

A me piace giocare a calcio, durante la bassa stagione faccio sempre qualche partitella a calcetto con i miei amici, con le dovute precauzioni naturalmente. Poi mi piace molto il tennis, anche se non è che me la cavo molto bene, lo trovo uno sport molto nobile e con una preparazione molto particolare. Ecco a livello professionistico non so se avessi continuato nel calcio, più che altro come sviluppo di persona nella vita intendo, perché vedo il ciclismo come uno sport molto diverso, ad esempio non condivido quando nel calcio fanno tutte queste scene e si buttano in terra per niente.

Noi ciclisti anche dopo una caduta seria, dove ci si fa anche del male, pensiamo subito a risalire in sella. Siamo abituati a soffrire di più, non so, forse siamo anche più umili e questo ci porta a un atteggiamento diverso nella vita. Rispetto il calcio e soprattutto persone come Maldini per fare un nome su tutti, rispetto quei calciatori che hanno sempre lavorato in maniera molto seria. Il tennis in fondo lo vedo uno sport più simile al ciclismo per certi versi, ecco però non so quanto avrei avuto successo in tale disciplina.

            Come descriveresti l’atmosfera prima di un grande giro? È qualcosa che negli anni è cambiato o le emozioni sono sempre le stesse?

Ma diciamo che sei più abituato, non hai più le sensazioni di quando eri un ragazzino, perché comunque ho già fatto 20 grandi giri, quindi un po' come tutte le cose vai ad abituarti. Però è bello vedere i ragazzi giovani che si avvicinano al loro primo grande giro e ti rivedi un po' in loro, molte volte chiedono anche dei consigli e a me piace darli.

            Hai dei riti prima di una gara?

Mi faccio solo il segno della croce prima di partire. Poi a me piace essere molto meticoloso, ad esempio mi piace avere tutto doppio dentro la borsa se non triplo.

Specie nella borsa del freddo, che sarebbe dove abbiamo mantellina, manicotti, cambali, anti pioggia ecc. mi piace avere sempre tutto a portata di mano.

            C’è una salita in Italia che per te è davvero mitica?

Lo Stelvio, per la sua particolarità, con tutti quei tornanti e perché è il passo più alto d’Europa. Poi ci sono tante salite che fai sempre tanta fatica a fare o che comunque le approcci quasi con odio insomma, tipo il Col delle Finestre, il Col dell’Agnello, lo Stelvio da Prato, che abbiamo fatto quest’anno, per me è stato per la prima volta in gara, lo avevo fatto in allenamento ma mai in gara. Poi ovviamente il Mortirolo, lo Zoncolan, perché comunque sono salite moto impegnative, che però quando arrivi in cima hai la soddisfazione di averle fatte per l’ennesima volta.

            Com’è stato fare il Giro ad ot­to­bre?

Complicato. Complicato perché io ho analizzato la cosa, sono state temperature piuttosto miti durante le tappe, più o meno come a maggio, forse in pelo più fredde sì, ma io e tanti altri miei compagni abbiamo patito molto il freddo. Perché, si arrivava da un periodo estivo con temperature elevate, quindi non eravamo temprati. Viceversa, quando si fa il Giro a maggio si va verso il caldo e venendo da un periodo freddo si è più abituati, era la percezione a cambiare insomma. Una tappa durissima è stata proprio lo Stelvio, salita davvero interminabile, ho patito molto il freddo in discesa e comunque era una giornata con davvero tanta altimetria.

            Il 2020 è stato un anno molto difficile, ma che ci ha fatto ricordare i veri valori della vita. Cosa porterai con te nel 2021 e cosa ti lascerai alle spalle?

Come dici tu è stato un anno che ci ha fatto ricordare quali sono le cose davvero importanti. È stato un anno davvero difficile e strano, mi ricordo quando la macchina del comune girava per il paese con il nastro registrato che diceva di stare chiusi in casa, di non uscire. È stata una cosa che ti veniva da pensare un po' in tempo di guerra. Pensa a cosa hanno vissuto no, poi con le dovute proporzioni, ma ci ha fatto un po' pensare a cosa possono aver vissuto i nostri nonni. Anche se nel mio caso non c’era bisogno di questo, perché vivo molto per la famiglia per stare in casa, fare l’orto. Allo stesso tempo tu hai detto che tutto questo ci dovrebbe aver riportato a tutti questi valori, uso il condizionale perché in fondo non ne sono molto sicuro. Vedo gente che comunque è molto nervosa, speravo fosse così, che la gente avesse capito qualcosa da tutto questo, invece per la maggior parte della gente è stata solo una perdita di tempo stare in casa. Ora tutti vogliono recuperare il tempo perso, forse si doveva riflettere di più durante questo 2020. Alle spalle anche se sembra scontato mi vorrei lasciare questo virus. Mentre invece nel 2021 cosa mi porto, mi porto tutto, perché io sono una persona che fa tesoro delle esperienze, sia quelle brutte che quelle belle, fanno parte di me, di quello che sono.

            Questa estate hai fatto il ritiro sul Pordoi, ecco come li vivi tu i ritiri e come sono i rapporti con i tuoi compagni di squadra in questi momenti?

A me sono sempre piaciuti i ritiri, fin quando ero ragazzino, sono sempre andato molto volentieri in ritiro, perché comunque se tu ami questo lavoro è il momento massimo per svolgerlo nei migliori dei modi. Anche perché in quei giorni hai una vita ben scandita, hai tutto organizzato, ti svegli trovi la tavola già tutta ben imbandita, lo chef che ti prepara l’omelette, che ti prepara qualsiasi cosa tu voglia. Hai un programma, hai degli orari, cosa che a me piace. Fai il tuo allenamento e sei seguito da tutti i vari preparatori e massaggiatori. Quest’anno poi sul Pordoi è stato fantastico, posto bellissimo, abbiamo trovato tempo perfetto. È un’occasione anche per stare tutti assieme, conoscersi. Unico difetto che stai lontano da casa, dai tuoi affetti.

            Eros tu sei un grandissimo corridore. Sono anni che ti vediamo sfrecciare per le nostre strade e ogni volta ci dai un sorriso, un’emozione, la passione per continuare a coltivare questo fantastico sport. Con la tua silenziosa velocità hai portato in giro maglie prestigiose e bellissime come Liquigas, Saunier Duval, Scott, Fuji-Serveto, Footon, Movistar, Astana, Quick Step, Baharain, e ogni volta vederti è motivo di grande orgoglio.

Il più delle volte il capitano della squadra di cui facevi parte ha vinto dei grandi giri a tappe, e si sa, nello sport non esiste il caso! 17 anni di contratti nei migliori club del mondo non si fanno per caso!

Luciano Ligabue canta “Una vita da mediano”, colui che finalizza e ottimizza il gioco, colui che lavora sui polmoni e fin che ce n’è sta lì, lì nel mezzo.

Come ci si sente ad essere un gregario, un mediano proprio come Oriali, lavorando spesso per la squadra in maniera silenziosa, prendendosi così il merito solo dietro le quinte?

Hai dichiarato che ti piacerebbe tornare a vincere e questo te lo meriteresti al 100% come se lo meriterebbero i tuoi tifosi.

Guarda, io penso che avrei avuto la possibilità di fare il capitano, ma non credo che sarei riuscito a fare 17 anni di professionismo, anche perché mentalmente ti toglie tantissimo, ho provato a farlo ma non era un ruolo che mi apparteneva. Ho trovato il mio equilibrio negli anni. Tu hai fatto un esempio calcistico, ecco sarebbe un po' come giudicare un giocatore per i goal fatti. Non puoi chiedere a un mediano di giocare all’attacco, ognuno ha il suo ruolo. Che poi non è detto che fai di meno, anzi quando sei alla fine fare il gregario è molto impegnativo. Secondo me non è tanto il ruolo che ricopri, quanto trovare l’equilibrio con sé stessi. Sapere che stai facendo bene il tuo lavoro, ci sono capitani più riconoscenti altri meno, ma la squadra sa sempre quello che hai dato. Questo è un po' la filosofia della vita, essere sé stessi fare ciò che ci sentiamo tagliati a fare. Non nascondo però che mi piacerebbe tornare a vincere, perché so che posso farlo. Ma lo farei più per i miei tifosi, per gli amici, per tutti quelli che mi sono vicini, quando vinco questo è il mio primo pensiero. Poi sai la vittoria è un’emozione che non dura tanto, a volte è più bello dare un’emozione, l’abbraccio di un capitano, i complimenti del direttore sportivo, queste sono le cose che mi danno davvero soddisfazione.