L’Etruria

Redazione

C’ erano una volta i ruscelli

Regimazione delle acque e montagna cortonese

C’ erano una volta i ruscelli

La recente tragedia della frana di Casamicciola ha indirizzato tutte le polemiche e gli strali della politica sull’abusivismo, che certamente ci sarà, ma purtroppo il problema da affrontare, se si vuole evitare il ripetersi di questi funesti eventi dovuti alle bombe d’acqua è solo e soltanto quello della regimazione delle acque, che in Italia manca da ormai troppi decenni.

Toscana e Veneto nei secoli passati  sono stati esempi di buona scuola di governo in questo campo ( cfr. ad esempio, ma la bibliografia su questi temi è immensa: Documenti cartografici nelle biblioteche e negli archivi della Toscana, a cura di Danilo Barsanti , Olschki editore), ma oggi  si è abbandonata ovunque , anche da noi, la virtuosa strada della regimazione pubblica delle acque.

Anche nella nostra montagna cortonese, a seguito della devastante emigrazione degli anni 1950-1980, i ruscelli , i fossi, le scoline e via dicendo, comprese le famose chiochéne (o chiaviche idrauliche) per la regolazione delle reti di scolo, sono quasi tutti scomparsi  o sepolti dalla fitta vegetazione cresciuta grazie all’incuria istituzionale o all’abbandono privato in quanto non esiste più o è stata sradicata la decisiva e storica economia di sussistenza che per secoli ha caratterizzato e sostenuto la vita della nostra civiltà montanina cortonese.

Quando ero piccolo e facevo il pastore di maiali e pecore sia in Vallecalda, sia nei boschi dei monti Trafforata e Ginezzo , assieme a i miei compagni, mentre eravamo a pascolare gli animali, ci si dissetava liberamente nei lindi e freschi ruscelli, che solcavano quei terreni e pendii e che portavano acqua piovana, ma anche di vena, cioè sorgiva, attraverso fiumiciattoli più grandi al Minima , al Minimela o al Nestore e, attraverso questi, al Tevere.

Da diversi decenni l'acqua di queste costate di montagna prende altre strade, perché i vecchi ruscelli sono tutti richiusi o ustruiti .

Ad esempio recentemente ho visto che torrenti come il Vingone degli Armari, che scende dal Trafforata, come il Vingone che scende dal Sant’Egidio, ma anche il canalone artificiale di adduzione dell’acqua alla diga della Cerventosa , costruito negli anni 1970 sui declivi di Casale, sono tutti ostruiti da spinaie e da altra vegetazione spontanea cresciuta nel corso degli anni. Il canalone  del Traforata di adduzione alla diga  è poi tutto un crivello, un colabrado che disperde acqua. Credo che la stessa situazione di abbandono e di ostruzione sia in tutti i ruscelli, i torrenti  di tutta la nostra amata e meravigliosa montagna. Se non ci si mette mano e non si programma una nuova regimazione delle acque piovane montagnine credo che ciò che accadrà presto anche nei nostri monti sia facile da immaginare.

Allora perché non si progetta qualcosa di grande da inserire, ad esempio,  nel Pnrr?

Noi de L’Etruria più che segnalare questo grave problema non possiamo fare. Ma ne scriviamo volentieri, dopo queste ultime tragedie nazionali dovute alla mancata regimazione delle acque e di cui tutti parlano quasi sempre con j’accuse facili e sbagliati. E vogliamo ricordare alle nostre istituzioni e a tutti coloro che hanno in mano le sorti della res publica ( della cosa pubblica)  che le nostre recenti,piccole e per fortuna non tragiche, frane montagnine, segnalate sul nostro giornale in  questi ultimi anni, sono un campanello di allarme da non ignorare assolutamente.

Non vogliamo essere noiose “cassandre”. Ma poi non dite che non vi avevamo avvertito. Una mancata nuova  regimazione delle acque anche nella nostra  montagna è necessaria, senza se e senza ma. Anche sull’esempio di quella piccola e tutta da restaurare regimazione settecentesca delle acque che, per conto del Granduca, fu promossa e curata da parroci di allora attraverso il sostegno laborioso dei nostri bisnonni, che dal medioevo in poi antropizzarono i nostri monti.

Nella foto di corredo, un esempio di  ruscelli ostruiti e abbandonati ( o non ripuliti) in Vallecalda.  

Ivo Camerini