L’Etruria

Redazione

L’Etruria esce grazie al telelavoro.

Ecco la locandina del nostro giornale cartaceo in edicola il 30 marzo.

L’Etruria esce grazie al telelavoro.

Il  nostro giornale cartaceo è stato chiuso in tipografia il 25 lavorando tramite internet e sarà in edicola il 30 marzo. Questo numero si apre  con un editoriale del direttore che ringrazia il Sindaco per il suo impegno e la sua presenza in prima linea in questi giorni di emergenza sanitaria mai vista dalle nostre generazioni .

Il nostro giornale, voce libera e diario indipendente della nostra Piccola Patria da ben  centoventotto anni, è fiero di portare all’attenzione dei propri lettori il bene che viene compiuto per la comunità tutta. Ma è altrettanto fiero nel difendere i principi costituzionali della democrazia e della libertà.  Mai bisogna trascendere , seppur formalmente legittimo, davanti ad eventi straordinari o disgrazie umane. La pietas cristiana ed umana sia sempre il faro di tutti in questo momento così tragico mai conosciuto dalla nostra comunità in questi ultimi ottant’anni.

In questi momenti così gravi , forieri di pericolo per l’incolumità , per la vita stessa delle persone, avere amministratori che si spogliano della veste di parte per servire il bene generale della propria comunità è una risorsa che ci fa ben sperare per riuscire a venir fuori tutti assieme da una situazione drammatica, da una pandemia mondiale, per ripararsi da una nube minacciosa (l'epidemia) che aleggia sopra il popolo tutto, pronta a colpire giusti e peccatori, poveri e ricchi, miserabili e potenti.

Come direzione ci auguriamo che in questo momento si realizzi concretamente una forte “unità di patria” per uscire al meglio e velocemente da questa dolorosa situazione che, purtroppo, dicono non essere breve e che potrebbe farci convivere con il pericolo Covid-19 per alcuni mesi e quindi rinviare il ritorno alla vita di prima anche dopo la fine dei decreti “ Cura Italia”. Non è infatti questo il momento per polemiche di parte che ciascuno riprenderà quando tutti assieme saremo usciti da questo vicolo buio in cui una nuvola davvero minacciosa  ha sconvolto tutto il mondo.

Ecco ora, come si può vedere dalla foto di corredo, gli argomenti principali del numero sei de L’Etruria che sarà appunto in edicola il 30 marzo e che agli abbonati forse potrebbe arrivare con qualche giorno di ritardo a causa della riorganizzazione dei servizi postali imposta dalle nuove norme di emergenza sanitaria.

Tante foto e cronache su questi giorni; una bella ricostruzione storica scritta dalla collega Isabella Bietolini sulle epidemie dei secoli passati a Cortona; il ricordo di Marco Calicchia tornato alla Casa del Padre nel fiore della gioventù e alla cui famiglia il nostro giornale manda un forte abbraccio; il ricordo breve di un altro nostro carissimo amico Enzo Moretti della cui morte improvvisa ci è arrivata notizia nella mattinata del 25 marzo nel momento di chiusura del giornale; l’impegno di Jovanotti in questi giorni di clausura cortonese; la seconda parte delle memorie novecentesche di Piero Pacini; il riutilizzo dello storico edificio dell’ex-ospedale cittadino che sta rischiando di rovinarsi; i ricordi di viaggio di Ferruccio Fabilli; le favole di Emanuele Mearini; i racconti storici di Mario Parigi; lo sport locale e tanto altro sono gli argomenti che il lettore trova in questo numero che servirà a rendere meno tristi le ultime  lunghe giornate che ancora dobbiamo passare in casa.

Ivo Camerini

PS

Per i nostri affezionati lettori ecco qui di seguito una bella pagina dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni.

Dagli all’untore!

Renzo arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di santa Teresa, un cittadino che veniva appunto verso di lui. — Un cristiano, finalmente! — disse tra sè; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s’avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso; e tanto più, quando s’accorse che, in vece d’andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l’altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltata la punta, ch’era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: “via! via! via!”

“Oh oh!” gridò il giovine anche lui; rimise il cappello in testa, e, avendo tutt’altra voglia, come diceva poi, quando raccontava la cosa, che di metter su lite in quel momento, voltò le spalle a quello stravagante, e continuò la sua strada, o, per meglio dire, quella in cui si trovava avviato.

L’altro tirò avanti anche lui per la sua, tutto fremente, e voltandosi, ogni momento, indietro. E arrivato a casa, raccontò che gli s’era accostato un untore, con un’aria umile, mansueta, con un viso d’infame impostore, con lo scatolino dell’unto, o l’involtino della polvere (non era ben certo qual de’ due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro, se lui non l’avesse saputo tener lontano. “Se mi s’accostava un passo di più,” soggiunse, “l’infilavo addirittura, prima che avesse tempo d’accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu ch’eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare di cercarmi un malanno; perchè un po’ di polvere è subito buttata; e coloro hanno una destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! E fin che visse, che fu per molt’anni, ogni volta che si parlasse d’untori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: “quelli che sostengono ancora che non era vero, non lo vengano a dire a me; perchè le cose bisogna averle viste.”

Renzo, lontano dall’immaginarsi come l’avesse scampata bella, e agitato più dalla rabbia che dalla paura, pensava, camminando, a quell’accoglienza, e indovinava bene a un di presso ciò che lo sconosciuto aveva pensato di lui; ma la cosa gli pareva così irragionevole, che concluse tra sè che colui doveva essere un qualche mezzo matto. — La principia male, — pensava però: — par che ci sia un pianeta per me, in questo Milano. Per entrare, tutto mi va a seconda; e poi, quando ci son dentro, trovo i dispiaceri lì apparecchiati. Basta... coll’aiuto di Dio... se trovo... se ci riesco a trovare... eh! tutto sarà stato niente. —

Arrivato al ponte, voltò, senza esitare, a sinistra, nella strada di san Marco, parendogli, a ragione, che dovesse condurre verso l’interno della città. E andando avanti, guardava in qua e in là, per veder se poteva scoprire qualche creatura umana; ma non ne vide altra che uno sformato cadavere nel piccol fosso che corre tra quelle poche case (che allora erano anche meno), e un pezzo della strada. Passato quel pezzo, sentì gridare: “o quell’uomo!” e guardando da quella parte, vide poco lontano, a un terrazzino d’una casuccia isolata, una povera donna, con una nidiata di bambini intorno; la quale, seguitandolo a chiamare, gli fece cenno anche con la mano. Ci andò di corsa; e quando fu vicino, “o quel giovine,” disse quella donna: “per i vostri poveri morti, fate la carità d’andare a avvertire il commissario che siamo qui dimenticati. Ci hanno chiusi in casa come sospetti, perchè il mio povero marito è morto; ci hanno inchiodato l’uscio, come vedete; e da ier mattina, nessuno è venuto a portarci da mangiare. In tante ore che siam qui, non m’è mai capitato un cristiano che me la facesse questa carità: e questi poveri innocenti moion di fame.”

“Di fame!” esclamò Renzo; e, cacciate le mani nelle tasche, “ecco, ecco,” disse, tirando fuori i due pani: “calatemi giù qualcosa da metterli dentro.”

“ Dio ve ne renda merito; aspettate un momento,” disse quella donna; e andò a cercare un paniere, e una fune da calarlo, come fece. A Renzo intanto gli vennero in mente que’ pani che aveva trovati vicino alla croce, nell’altra sua entrata in Milano, e pensava: — ecco: è una restituzione, e forse meglio che se gli avessi restituiti al proprio padrone: perchè qui è veramente un’opera di misericordia. —

“In quanto al commissario che dite, la mia donna,” disse poi, mettendo i pani nel paniere, “io non vi posso servire in nulla; perchè, per dirvi la verità, son forestiero, e non son niente pratico di questo paese. Però, se incontro qualche uomo un po’ domestico e umano, da potergli parlare, lo dirò a lui.”