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Andrea Vignini: Con "L’unica cosa che conta" racconto l’ipocrisia del potere e la fine dell’innocenza

Andrea Vignini: Con "L’unica cosa che conta" racconto l’ipocrisia del potere e la fine dell’innocenza

L’appuntamento con Andrea Vignini e il suo ultimo romanzo "L’unica cosa che conta" è fissato per venerdì 24 ottobre alle ore 17.30 presso le logge del Teatro Signorelli di Cortona. La presentazione, organizzata dall’associazione culturale Factory Dardano 44, sarà introdotta dal presidente dell’associazione Aldo Calussi. A dialogare con l’autore sarà invece il professor Alessandro Ferri. "L’unica cosa che conta" di Andrea Vignini è un romanzo intenso, capace di catturare dalla prima all’ultima pagina La sua uscita è anche l’occasione perfetta per una conversazione con il suo autore: due volte sindaco di Cortona, uomo da sempre impegnato in politica e appassionato di letteratura. Andrea Vignini torna in libreria con la sua terza fatica per GFE Editore. Ambientato negli anni Ottanta, "L’unica cosa che conta’"è un romanzo di formazione che intreccia adolescenza e intrighi politici, amicizia e perdita dell’innocenza. Il protagonista, Andrea, è un liceale che vive la spensieratezza di motorini, primi amori e amicizie indissolubili, accanto al suo inseparabile amico Fabio, detto “Pugnetta”. La loro vita prende una svolta inattesa con l’arrivo di Valentina, ragazza affascinante e anticonformista, che spalanca nuovi mondi e nuove domande. Parallelamente, però, Andrea si trova a fare i conti con una famiglia segnata dalla malattia della madre e dal potere ambiguo del padre, avvocato e politico locale coinvolto in manovre e ricatti.

Dietro la leggerezza adolescenziale si nasconde quindi una realtà più dura del previsto

Quando una bomba esplode sotto l’auto del sindaco, i due amici finiscono invischiati in un torbido gioco di potere e corruzione, scoprendo che nel mondo degli adulti, spesso, l’unica cosa che conta davvero è vincere. Il romanzo di Andrea Vignini denuncia l’ipocrisia del potere e svela quanto spesso i media e le ambizioni personali possano piegare la verità. Ma è anche il racconto di un adolescente che perde l’ingenuità e scopre la complessità morale del mondo adulto. Abbiamo incontrato Andrea Vignini per parlare di letteratura, politica, formazione e futuro. E, naturalmente, del suo romanzo.

Andrea, partiamo dagli anni ’80. Che anni sono stati? Ci sembrano belli solo perché eravamo giovani o avevano davvero qualcosa di unico?

Gli anni Ottanta sono stati contraddittori. Da un lato il mito della “Milano da bere”, dell’edonismo, dei consumi. Dall’altro, il peso di eventi politici e sociali molto forti che hanno segnato la vita di un’intera generazione. Per me sono stati anni di formazione: liceo, amicizie, scoperte personali e politiche. Ecco perchè sono nel mio romanzo. Se dovessi scegliere una cosa da riportare indietro, direi senza dubbio la musica: era un collante, un linguaggio comune. Dalle cassette registrate a mano ai concerti che aspettavamo per mesi. Ogni brano diventava la colonna sonora di un pezzo della nostra vita. Oggi, quando ascolto il brano degli 883 ‘Gli anni’, che ovviamente un tempo non era tra i miei preferiti, persino mi commuovo.

Il titolo del romanzo è ‘L’unica cosa che conta’: qual è per i tuoi personaggi, questa unica cosa che conta?

Per Andrea e Fabio di sicuro l’amicizia è davvero l’unica cosa che conta. È il rifugio dalle difficoltà familiari, dalle ipocrisie degli adulti. Però crescendo Andrea scopre che neppure l’amicizia è immune dal dolore. Ricordo la morte di Berlinguer nel 1984, che racconto nel romanzo: Fabio la vive in modo intensissimo, mentre Andrea si accorge di non aver compreso fino in fondo una parte dell’amico. È lì che capisce che la vicinanza è anche accettare di non capire tutto, ma di restare accanto ugualmente.

Sei stato sindaco di Cortona per due mandati. Che cos’è per te il potere? E che cosa hai scoperto, governando, che non immaginavi?

Per me il potere è uno strumento, di certo non un fine. Quando sei sindaco, il potere diventa di fatto la possibilità concreta di realizzare progetti per un’intera comunità. Il resto sono soltanto chiacchiere o vanità. Certo, esiste anche un potere che è solo scalata sociale, rivalsa personale, promozione di sé stessi. E purtroppo in Italia è sempre più così. Le ideologie si sono affievolite, i partiti si assomigliano un po’ tutti, e la gente si allontana dalla politica. Governare mi ha insegnato che il potere ha senso solo se usato per fare e per fare bene, non per apparire.

A proposito di potere: che cosa non faresti mai per la carriera?

Posso andare fiero di non essermi mai assoggettato a richieste e desideri altrui per fare carriera. E questo comportamento, lo ammetto, mi ha anche danneggiato. Ma non avrei potuto essere diverso da come sono: ho sempre preferito perdere un’occasione piuttosto che tradire la mia dignità. Mia moglie mi ripete spesso che è stata una fortuna non essere stato eletto di nuovo sindaco. E forse ha ragione: la mia vera passione è sempre stata la letteratura.

Quanto siamo corruttibili, secondo te?

Credo che tutti abbiamo un prezzo, ma non sempre in termini di denaro. Per mio figlio sono assolutamente certo che farei qualsiasi cosa. Ma per vantaggi personali no, mai. Certo, anch’io ho avuto delle “sliding doors” nella mia vita politica: ad esempio, dopo il mandato da sindaco mi proposero di diventare segretario provinciale. Avrei dovuto schierarmi e dissi di no. Scelsi la strada più difficile, ma la più corretta per me. Oggi non ho una lira, ma va bene così e almeno non ho rimorsi.

A che età si capisce davvero la valenza del potere?

Si inizia a capirla da ragazzi. Ai miei tempi, già al liceo c’era un forte confronto tra destra e sinistra. Io venivo da una famiglia democristiana: mio padre era segretario DC e il mio primo voto fu per la DC. Poi, crescendo, ho votato a sinistra. All’università ho toccato con mano un altro tipo di potere: quello accademico. Durante la protesta della Pantera, a Perugia, ho visto quanto i professori potessero influenzare, orientare, decidere.

Nel romanzo Andrea diventa grande quando scopre che la verità non ha una sola faccia. Sei d’accordo che “diventare grandi” significhi questo?

Houellebecq scriveva che in fondo grandi non lo si diventa mai. Io credo sia vero: restiamo sempre un po’ adolescenti, anche quando la vita ci obbliga a crescere. Non sono diventato grande, ma ho imparato a credere in poche cose fondamentali, senza compromessi. Una di queste è la pace: da giovane feci l’obiettore di coscienza e quella scelta mi ha segnato nel profondo.

Nel libro racconti la fragilità della madre di Andrea. Perché hai scelto di parlare della malattia mentale?

Qui c’è un elemento autobiografico significativo. Mia madre ha sofferto di depressione, con una diagnosi di nevrosi fobico-ossessiva. Ricordo i luminari che la visitavano, decine di cure, i ricoveri, la sua paura della sporcizia. Io tornavo a casa e lei mi lavava i vestiti, era rupofobica. Mio padre le è rimasto accanto per tutta la vita, non per convenienza, ma per amore vero. Il tema della salute mentale ancora oggi non viene affrontato, oppure viene affrontato male. La realtà è che le famiglie vengono lasciate sole, senza sostegno alcuno. Ho voluto parlarne nel romanzo perché convivere con un familiare che soffre di un disturbo mentale segna profondamente la vita di una famiglia.

Politica e scrittura che cosa rappresentano per te?

La mia vita si regge su tre pilastri: la famiglia, la politica e la letteratura. La politica è stata un impegno concreto, la scrittura è una passione che non posso abbandonare. Non riesco a stare senza leggere e senza scrivere: sono forme diverse della stessa necessità di comprendere il mondo. ‘L’unica cosa che conta’ è il mio terzo romanzo, ma sento che è quello in cui ho messo di più di me.

Che mondo cerchi di lasciare a tuo figlio? E quali passioni gli auguri?

Mio figlio Antonio ha 13 anni, è intelligente e curioso, anche se legge poco. Vorrei lasciargli un mondo più giusto, meritocratico, dove non ci siano autocrazie e in cui valga sempre la pena essere se stessi. Gli auguro di avere una passione politica e di riuscire a cogliere e ad apprezzare la bellezza: l’arte, la musica, la letteratura. Questo è ciò che resta e che conta davvero.

I tuoi gusti: rivelaci libro, film, musica e attrice del cuore

Il libro è senza dubbio "Il maestro e Margherita" di Bulgakov, che rileggo ancora. Il mio cantante di riferimento è Fabrizio De André, la voce che ha accompagnato le mie battaglie e le mie notti. L’attrice è Simone Signoret, per me indimenticabile. E il film che più amo è "C’era una volta in America" di Sergio Leone: epico, struggente, un pezzo di storia e di memoria collettiva.

Rosella Schiesaro©

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