L’Etruria

Redazione

La seconda guerra mondiale e Farneta nei ricordi di don Sante Felici

Nell’ottantesimo anniversario della Liberazione di Cortona

La seconda guerra mondiale e Farneta nei ricordi di don Sante Felici

Da “La Voce di Cortona” in “TOSCANAoggi” del 16, 23 e 30 Settembre 1984, articoli di Sante Felici ritrascritti da Claudia Clementi e Alvaro Ceccarelli, che ringraziamo vivavmente. (Redazione)

...........*.........

Nei pressi dell'Abbazia di Farneta, all’incrocio stradale, detto "La Sassaia" (toponimo di via romana), c’è una maestà votiva con un’immagine sacra dell’Assunta, ed una lapide che reca: “Alla Patrona di Farneta/Maria SS.ma Assunta/che il 14 Febbraio 1944/in violento bombardamento aereo/e poi nel passaggio della guerra/il devoto popolo/mirabilmente conservava illeso/il Parroco D. Sante Felici e i fedeli/per affettuosa gratitudine/Q. M. P.”.

L’8 Settembre 1943, per l’armistizio, suonammo le campane a festa per un'ora: che fatica gioiosa con Santi, l’Annina e anche il parrocchiano, recentemente scomparso, Santi Fornaci! Nell’euforia del momento, mi recai da “Milanino” (Milani), per ascoltare dalla sua rudimentale ma efficiente Radio a pile (la luce elettrica l’avremmo poi portata nel 1947) il proclama del Generale Badoglio, e ricordo, venendo via, il commento, che a me, sempre ottimista, suonava strano, fatto dal “Lòlo” del Brasini (Gabriello Rosadoni): “Il peggio deve venire”: saggezza contadina! Aveva ragione. Seguì l’occupazione tedesca e fu guerra totale ovunque! Così, nel mezzogiorno del 14 Febbraio 1944, una grossa formazione di fortezze volanti alleate scaricò una serie di bombe che aprirono voragini per un tratto di alcuni chilometri in direzione Sud-Nord (Petrischio-Pratovalle), bombe lanciate (a giudicare dopo il fatto) con precisione millimetrica per schivare case, con agglomerati come quello delle “Case Nuove”, le strade, specie quella di Manzano che, in quel momento, era percorsa da quelli che tornavano, o col calesse o in bicicletta, dal mercato settimanale (Lunedi) a Foiano della Chiana; e tutte le persone, comprese quelle delle case, delle aie, dei campi, restarono illese. Ma quanta paura! Ricordo il terrore del caro Maestro Giulio Mariottini, dei ragazzi del Catechismo, corsi a rifugiarsi sotto I’arco della loggetta della casa canonica! Un bombardamento misterioso! Non se ne seppe mai il perché: peraltro, I’obiettivo più vicino, che avrebbe potuto giustificarlo, era I’importante officina meccanica tedesca posta nella Villa e Fattoria Passerini a Manzano, ma in tutt'altra direzione; forse un alleggerimento forzato del carico? Una falsa pista? Un monito, un avvertimento?

E i giorni e i mesi non passavano mai; violenze, intimidazioni, razzie in continuazione in ogni casa, anche Ia più sperduta del “Chiucio” della Val di Chiana, e il sibilo sinistro delle sirene delle Fornaci di Bettolle che davano il segnale di allarme, mentre le famiglie erano attanagliate dall’angoscia per la sorte dei loro cari, combattenti nei fronti dell’Africa, della Russia, Grecia, Albania: I’altare della Madonna era circondato ed ornato da oltre cento fotografie di soldati, poste dai famigliari, in segno di fiduciosa invocazione di aiuto e protezione (...quale contrasto col successivo periodo di scadimento dei valori religiosi e morali!). Nel mio libro “Sapienza Popolare in Val di Chiana”, parte prima, (pag. 387) ho annotato anche qualche episodio distensivo di quei brutti giorni, come quando "soldati tedeschi cercano da mangiare “a Sànchje de Mòmmo, socciarello e campanèo de Ia Ghjésa de Farneta”, indicando un campo: Babbo, kartoffelnl (in tedesco: patate) e, quello: Nòe én sono scarciòffi, son patate. E lì un pezzo a discutere, finché quelli prendono una vanga e scavano un

paniere di patate. E il buon Santi (Lunghini) a sfogarsi, poi, con me: S'èron picchi ch'èrono scarciòffi e tanto I'han vulsuti piggliè’ llistésso. O come, quando la mia mamma coraggiosa giocava simpatiche burle ai soldati tedeschi: costoro irrompevano nel chiostro, gridando: "mamma, cocò!”, cioè galline! e lei, pronta, additando una fila di teste di gallina, allineate sul murello-parapetto del pozzo: “camerati, kaputt!” e quelli, mortificati, esclamavano: “povera mamma!", e partivano; ma... quelle erano le teste tagliate (come usavano tagliarle i tedeschi) ai polli che la mamma aveva cucinato per casa nostra. Ci sarebbe da scrivere un romanzo per narrare tutte le vicende...

Si avvicinava, frattanto, il passaggio del fronte vero e proprio e tutti ci demmo a scavare i rifugi nelle greppe, scarpate dei campi; noi col “Mordini” (Torresi) scavammo il rifugio nella scarpata, greppone, della “piaggina” a Nord della Chiesa. Con noi Felici, e i Torresi, trovò rifugio anche il SS.mo Sacramento. A questi ultimi tragici giorni si riferisce il doloroso episodio dell'uccisione di Terrosi Igino a Poggiobello in Farneta, da parte d'un soldato tedesco, pare per un tragico equivoco (era un pacifico mietitore e non un partigiano): nel luogo fu posto, poi, un cippo-tabernacolo che mi recai a benedire, ed anche un secondo fatto di sangue... ma procedo in ordine: quando venne la Legge Gui per la denuncia delle armi da guerra, un mio parrocchiano, degnissimo di fede, mi portò due armi, residuati bellici, una baionetta ed un pugnale, tipo "misericordia" medioevale, col taglio a croce che produce una ferita praticamente irrisarcibile (il noto: "spada se hai vinto, croce se sei vinto"; la facevano baciare al ferito all'impugnatura - a croce - e poi gli davano il colpo di grazia), armi che denunciai a nome mio immediatamente e che adesso sono visibili nel mio Museo; alla domanda: come le avete avute? mi rispose, narrando una storia dolorosa: "le ho trovate nel burrone della fargna, sotto il Petrischio, vicino alla salma di quel soldato tedesco che certuni uccisero per il fondato timore che quello usasse violenza alle donne: uno gli fece ruzzolare le scale con uno spintone ed un altro, in fondo alle scale, gli

spaccò la testa con un'accetta (come fa diventare crudeli, la guerra!); per fortuna, i Tedeschi, dopo vane ricerche per due o tre giorni, lo ritennero disertore, senza sospettare della realtà... altrimenti oggi avremmo dovuto commemorare un ennesimo eccidio per rappresaglia!"- e fu solo così che ebbi la piena conoscenza del fattaccio, di cui avevo sentito parlare, sino ad allora, con un vago "si dice".

 II tenente austriaco che aveva requisito una stanza della canonica, e mangiava spesso con noi (insieme col suo giovanissimo attendente che chiedeva sempre: mamma, zucchero! per addolcire l'acqua) un giorno mi disse: Tu contento, eh, perché stanno per arrivare gli Inglesi?! Capii da questa frase e dal trambusto generale che era la fine (a proposito di quel fiero ufficiale, un giorno gli chiesi se fosse austriaco o tedesco, e mi rispose seccamente: c’est la même chose! è la stessa cosa - allora! – e gli domandai se, dopo la guerra, sarebbe tornato da noi, e lui rispose: “après la guerre, dormir, dormir", cioè dopo Ia guerra, dormire, dormire: sentiva il bisogno di riposarsi. Che ne sarà adesso di lui e di tanti, d'ogni nazionalità, che abbiamo conosciuto in quei frangenti?

Andammo al rifugio per l’ultima notte, mentre le schegge (che conservo, per ricordo) ci sibilavano attorno; ai due o tre soldati tedeschi “guastatori” che si apprestavano a passare la notte in una stanza isolata che dà sulla loggia esterna, in canonica, raccomandai di non fare danni e me I’assicurarono, professandosi anche cattolici, però, inesperto della guerra, invece di lasciare aperto, specie le finestre, mi feci premura di chiudere tutto: con lo spostamento d’aria della deflagrazione si verificarono danni; la mattina seguente, all'alba, quei soldati fecero brillare numerose mine di pura dinamite Nobel (di cui conservo le etichette in Archivio) all'incrocio della Sassaia, colla rovina totale delle finestre, parziale dei tetti, ed i sassi della strada sconvolta giunsero sino al nostro rifugio infrangendo le stoviglie, che con le cibarie, ecc. avevamo nascosto tra i rami degli alberi. A titolo di curiosità, dirò che le buche per le mine erano state fatte scavare dagli artigiani della Villa di Farneta, calzolai, fabbri, sarti, ecc., che dovettero faticare per rompere il duro selciato delle strade. (Personalmente, invitato da un Tedesco a recarmi anch’io a scavare, mi permisi, ridendo, di rifiutare e quello non insisté). Immense voragini furono aperte dalle cariche esplosive, ed in una precipitò, poi, di notte, con l'oscuramento, un soldato inglese con una grossa motocicletta, uscendone incolume e correndo in chiesa per ringraziamento dello scampato pericolo.

Comunque l’incubo era finito; la mattina presto del 2 luglio 1944 uscimmo dai rifugi, in attesa degli Alleati che erano alle porte, alcuni andarono loro incontro verso il Petrischio, come il pòro Lello di Bartolozzo e la pòra Amabile del Ghjòstra (nonna di don Benedetto) che recavano alle avanguardie inglesi mazzolini di fiori di campo: gesto commovente! Che sete avevano quei poveri soldati, tutti intrisi di polvere e di sudore!: in un baleno prosciugarono la nostra fonte. E autocolonne con i carri armati, autoblindo e mezzi d’ogni genere non finivano più di passare, per giorni e settimane, travolgendo tutto nei campi (schivavano le strade minate; eppure il raccolto di grano di quell'anno fu provvidenzialmente abbondante, indimenticabile). Soldati e ufficiali vennero (alcuni) a chiedere di fare la Santa Comunione, e quelli poi che restarono acquartierati nelle nostre zone continuarono nei mesi seguenti a frequentare la Messa festiva, che inoltre avevano anche presso di loro; infatti, ai Pratoni e giù giù sino a Brolio fu allestito un immenso campo di aviazione inglese per cacciabombardieri tipo Mustang, visitato pure dal Re d'Inghilterra, Giorgio VI; il campo fu attaccato da aerei tedeschi, ma solo debolmente. Lì un cappellano militare aveva una chiesa-tenda con scritto "padre'.

Con la liberazione, conoscemmo il DDT, segnato sui fabbricati con la vernice nera e la data di irrorazione... fu una disinfestazione generale e istantanea di tutti i parassiti, in casa e fuori!

Ingenuamente cercavamo di cancellare le tracce del ventennio fascista, giacché anche Don Santi era tra i novanta milioni di italiani di allora e cioè quarantacinque milioni fascisti, e quarantacinque milioni di antifascisti il giorno dopo (totale appunto, novanta): chiamai un caro muratore di Farneta, peraltro - ironia del caso! - squadrista del ventuno, per richiudere, col cemento, la data XIX E.F. (decimo nono Era Fascista, per i più giovani) fatta incidere (dopo quella MCMXL, ossia 1940) dal Soprintendente ai Monumenti di allora. Mentre il muratore mi stava dicendo che il cemento ricadeva inesorabilmente e non c'era verso di tamponare, capitò in visita il Governatore Alleato di Cortona, il quale resosi conto della cosa, ebbe un moto di disapprovazione e ordinò di sospendere “affinché - soggiunse - i posteri possano studiare queste date come noi studiamo quelle di Napoleone!”. (A proposito di questo Governatore, ricordo la frase scritta di suo pugno in calce alla domanda per l’autorizzazione ad effettuare una Processione per la Festa, frase che diceva esattamente: "Senza la Banda", evidentemente per ragioni di ordine pubblico; il foglio è nell’Archivio Parrocchiale; e ricordo che, mancando altri mezzi di trasporto, in quei tempi di emergenza, si prestarono gentilmente, con una camionetta, per portare il Vescovo a Farneta e riportarlo a Cortona, dei soldati inglesi, che restarono a pranzo con noi in canonica). Con la fine della guerra (1945), tornarono i soldati, superstiti, e facemmo una solenne festa dei Reduci con la S. Messa, cui seguì il pranzo in canonica, uno di quelli che la mia mamma, con singolare perizia sapeva preparare. Durante la guerra, tenni una continua corrispondenza epistolare con i soldati, dei quali conservo un pacco di lettere.

Infine, il 21 Maggio 1948, su incarico del Comune, assistei alla esumazione delle salme dei soldati tedeschi nel territorio di Farneta, sepolti nei campi; uno, Robert Stettin di Amburgo fu mitragliato da aerei inglesi presso “La catena” e morì nell'erbaio (della stalla) del Ghjòstra (Magi) alla "Catena" sotto il Petrischio, fu sepolto lì accanto nella proda d'un campo, tra la via comunale delle Chianacce e quella della Rota; accanto alla salma trovai un foglio, dentro una bottiglia sigillata, con le generalità del poveretto di anni 19, foglio che consegnai al Comune; una seconda salma si recuperò in un campo nel recinto della Fattoria del Petrischio: era stata bruciacchiata inconsultamente, per disprezzo, da un giovane di Farneta; ve l’avevano seppellito i civili il giorno della liberazione, quando fu trovato morto a braccia aperte con una bomba a mano accanto, nella cantina della Fattoria. Il cartellino (preso da una damigiana) con le generalità del soldato, fu consegnato dal Fattore, Cav. Alfredo Casini, ad un colonnello inglese; la terza salma era sepolta presso Le Guardie, davanti al podere "La Cabina", ma il nome non era più leggibile, ma solo un numero o data "1922": tutte e tre le salme furono inumate nel Cimitero di Farneta e successivamente portate in quello militare tedesco di Pomezia (vennero i genitori di Robert Stettin).

Conservo una serie di bossoli (di ottone fiammante) dei proiettili che gli Alleati lanciavano coi cannoni dei carri armati contro i tedeschi, ma... li ho trasformati in oggetti di culto: vasi per fiori, ed uno, addirittura (per la prestigiosa perizia d'un fabbro) in un pilello o secchiello per I’acqua santa, in omaggio al detto del profeta Isaia: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci”. E quando inaugurammo il monumento ai Caduti in guerra, il 4 Novembre 1969, ricordai il motto: mettete fiori sui vostri cannoni!", e I’invocazione del poeta della Terza Italia, Giosuè Carducci: “Salute o genti umane affaticate:/Tutto trapassa e nulla può morir./Noi troppo odiammo e sofferimmo, amate!/Il mondo è bello e santo è I’avvenir”.

Don Sante Felici