L’Etruria

Redazione

Dalla droga si può uscire!

La forte testimonianza di Francesco Del Serra con il libro: " Rinascere...per non morire"

Dalla droga si può uscire!

Ci sono esperienze che cambiano la vita, lasciando schegge nelle carni e
nell’anima difficili da estirpare. Francesco Del Serra (1995), giovane cortonese,
parla del suo percorso con le droghe nel racconto: “Rinascere… per non
morire…”
pubblicato e disponibile su ordinazione tramite Facebook e
Instagram; a breve anche su Amazon. Nell’intervista che segue ripercorre brevemente la sua storia, con tutto l’orrore e la solitudine che ha dovuto affrontare e la forza che gli ha permesso di tornare a vivere e raccontarsi.


Il racconto che hai scritto è un documento di vita autentico, prezioso e
molto coinvolgente; leggendolo pare come di entrare con te in quel “tunnel
oscuro” di cui parli. Infatti la prima domanda che vorrei farti riguarda
proprio questo tunnel, con i due eventi che ne segnano inizio e fine: quali
sono state le sensazioni della prima e dell’ultima volta che hai fatto uso di
sostanze stupefacenti?

La prima volta dominava la curiosità, come credo sia per tutti i ragazzi: si
tratta di una cosa nuova, a cui arrivi passando per la prima canna ai veglioni,
insieme a gente più grande che fa uso di queste cose e che ti porta a
sperimentare. L’ultima volta era diventata un’ossessione, senza la sostanza
addosso non ce la facevo a uscire, era una cosa quotidiana. Mi svegliavo la
mattina alle 9:00 con il pensiero fisso: “Entro mezzogiorno devo prendere la
sostanza, perché sennò sto male”; ero diventato tanto dipendente da non
poterne fare a meno. Nell’ultimo periodo fumavo solo il crack, quindi non
mangiavo, non dormivo, ero diventato 39 kg e non avevo nemmeno la forza di
scendere le scale di casa: ricordo che una volta mi guardai allo specchio e,
infilandomi le mani sotto alle costole, arrivai a metà del petto; in quel momento
dissi: “Non posso continuare, altrimenti massimo un mese e non ci sono più”.
La narrazione può salvarci la vita, a volte. Darsi un senso e dare un
significato alle nostre esperienze può permetterci di trovare strade mai
immaginate: quanto è stato importante raccontare cosa ti è successo? Lo
consigli a chi ancora e in difficoltà a causa della droga?

Per me scrivere questo racconto è stato molto importante: da quando mi
sono ritrovato all’ospedale Santa Chiara a Pisa ho cominciato a scrivere giorno
dopo giorno e questo mi ha dato tanta forza, per ripensare a tutto, dagli anni
passati a oggi. Ogni volta che scrivevo ripensavo e questo è stato fondamentale
per rialzarmi.
Sicuramente per delle persone incatenate in questo mondo questo libro può
aiutare a crescere, perché arrivare al crack è un attimo: dalla canna, alla prima
botta, per poi arrivare anche all’eroina; conoscere la storia di chi l’ha già vissuto
può essere un monito importante.
E consiglieresti di anticipare la scrittura al periodo in cui si è in
difficoltà? O credi che non aiuterebbe? Perché tu hai iniziato a scrivere
quando già ne stavi uscendo.

Quando sei in mezzo alla droga non pensi a scrivere su di te, ci riesci quando
stai già per venirne fuori. Io ho sempre fatto l’esempio della scalinata: c’è una
scalinata di dieci gradini, tu inizi a uscirne quando sei al secondo, non prima, lì
puoi pensare di iniziare a scrivere.
Oltre all’esempio della scalinata evochi più volte l’immagine della
scalata, che mi ha fatto venire in mente un passo di Petrarca in cui l’autore
mette in guardia sull’importanza di scegliere bene i compagni di viaggio.
Nel suo caso si parla di scalata vera e propria per raggiungere la cima di
un monte, ma quanto sono stati importanti i compagni di viaggio nel tuo
percorso tutto interiore?

I compagni di viaggio per me hanno significato tantissimo: se tu inizi una
scalata del genere con compagni che non ne sono all’altezza non riesci a fare
nemmeno la prima salita. La mia fortuna è stata quella di avere mio cugino, mio
zio, ma anche gli amici di mio cugino, con cui un anno fa non avevo la
confidenza di adesso. Sono state persone eccezionali, perché mi hanno saputo
accettare e prendere come un amico, come se ci conoscessimo da anni;
rispetto, magari, a persone che conosco da quando sono nato e hanno preferito
abbandonarmi per continuare a fare uso di sostanze stupefacenti.
Ho trovato una frase che mi ha colpito molto: “Quindi ragazzi
crediamoci insieme, tutti quanti, prima che ognuno di noi spenga quel
bellissimo sorriso e quel meraviglioso sogno”, che hai scritto subito dopo
aver parlato del ruolo della musica nel tuo percorso, per esempio parli
di “Nemmeno è tutto nero”.

La musica mi ha aiutato tantissimo, all’ospedale di Pisa per gran parte del
tempo non avevo nessuno con cui confrontarmi, avevo solo la musica. La
canzone “Nemmeno è tutto nero” di Gazzelle parla proprio di questa speranza
che non si spegne, la speranza di rialzarsi: “Siamo come giornate buttate al
cesso | come i sorrisi spenti, in mezzo ai denti, a tempo perso | e non crescono i
fiori, è vero, dove cammino io | ma nemmeno è tutto nero”.
La droga rischia anche di toglierci una delle componenti più umane che
abbiamo: la socialità. Infatti in più punti del racconto emerge grande
solitudine; per esempio a un certo punto dici: “Momenti in cui sei solo,
veramente solo, e cerchi qualsiasi persona con cui parlare, ma non la trovi.
Momenti in cui ti vorresti buttare dal grattacielo più alto d’America o
affogare in mezzo all’oceano Atlantico dalla disperazione e dalla mancanza
di fiducia in te stesso”.

La droga ti porta via da tutto e da tutti. Dalla famiglia, dagli amici più cari, dai
parenti, dalla fidanzata: quando entri in giri più grandi di te non riesci a
immaginare di andartene. Ho passato molti giorni in cui ero solo, anche l’ultimo
Capodanno l’ho passato solo con la droga e per me era come essere in mezzo a
tremila persone. Solo dopo esserne uscito ti accorgi di quanto quella vita
facesse schifo.
Un ultimo messaggio che lasci, a chi è riuscito a uscirne come te e a
chi ancora non ce l’ha fatta.

Vorrei più che altro lasciare un messaggio a persone che si trovano nella mia
stessa situazione, in cui stanno lottando con forza; come ho scritto nelle ultime
pagine: “Non perdete la speranza, perché essa è l’ultima a morire”; se ci credi
fino in fondo ne uscirai, se già pensi di non farcela non ce la farai e più lasci
passare il tempo, più ti perdi in un mondo oscuro dove regna solo il male.

Grazie, Francesco!

Iacopo Mancini