L’Etruria

Redazione

Firenze, un film.

L’ultimo romanzo di Riccardo Lestini

Firenze, un film.

L’ultimo romanzo di Riccardo Lestini, “Firenze, un film” nella sua originalità costituisce una continua sorpresa: ha  tutte le caratteristiche di una sceneggiatura cinematografica, o di un corto, con colonna sonora e titoli di coda, oltre alle indicazioni spazio-temporali, alla presentazione rapida dei personaggi e alle battute di un dialogo stringato: tutto in un linguaggio crudo ed essenziale.   Quindici sono le storie che si susseguono, alternandosi nell’arco di un sol giorno, e i personaggi delle singole storie raramente transitano l’uno nella storia dell’altro, incontrandosi talvolta oppure solo sfiorandosi in quel palcoscenico che è Firenze, “una vergine in bianco e nero dove tutto può ancora accadere”. E Firenze non è un semplice sfondo,  è una comparsa, una splendida comparsa, una “maschera muta”, che però riempie di sé tutto il romanzo e che, insieme alla telecamera del vecchio Bob, “lega” le storie e i personaggi. E se uno legge il romanzo per vedere come va a finire, rimane deluso, perché “Firenze, un film”, non finisce. Continua in quelle pagine bianche che ognuno, se vuole, può riempire a suo piacimento o può lasciare così, come viene. Perché è il romanzo della vita. Non la vita di un unico personaggio, di un eroe o di un’eroina. Ma è la vita di tanti, di tutti, ognuno chiuso in sé stesso. Non c’è dunque protagonista e sembra che non ci sia  neanche l’autore, che spesso volutamente scompare dietro la macchina da presa e racconta senza condannare, senza  prendere le parti di nessuno. E la pietà nasce tanto più, quanto maggiore sembra il distacco di chi racconta. Quasi ogni pagina ti presenta una persona nuova, salvo riprenderla poco dopo. Non una singola esistenza o una vicenda che inizia, ha un suo svolgimento, e una fine, lieta o triste che sia. Ma un “tutto scorre” che sembra scriversi da solo, e che provoca un senso di ansia, di attesa mai soddisfatta. E finisce per angosciarti. Queste storie non sono favole, ma “tratti “ di vita, pezzetti, tessere di un puzzle che non si incastrano. E una sola giornata, scandita dall’orologio del tempo, diventa un’intera vita:questa giornata sembra la copia desolata di tante giornate tutte uguali. Oppure è la giornata di uno/una  che incontriamo per la prima volta e che in quello stesso giorno nasce, per noi, e muore, come la giovane Ilaria, che si getta dalla finestra della scuola: una morte apparentemente immotivata e assurda, ma non improvvisa, perché, a dire il vero,  l’autore, forse senza accorgersene, lancia indizi impercettibili: uno per tutti è quella felicità donata all’amica, come un ultimo gesto di generosità, quasi a voler lasciare qualcosa di sé, un segno del suo passaggio, un senso alla sua vita.  Il fascino di questo romanzo è assurdamente proprio nella difficoltà a decifrarlo: non so quale sia stata l’intenzione dell’autore, se cioè lo scrittore sia mosso da un qualsiasi proposito o volontà, oppure sia una rappresentazione della realtà, vista però attraverso una lente deformante. Mi ha fatto pensare a quei quadri di Van Gogh, dove il paesaggio splendido appare distorto, quasi non messo a fuoco. La vita “ sembra” bella, ma se si scava nel profondo, appaiono crepe,  fratture, disarmonie. Ho cercato, tuttavia, un messaggio positivo. L’ultima scena del vecchio Bob sembra in qualche modo farlo sperare: Perla cercata e seguita dalla telecamera è come la bimba dal cappottino rosso in mezzo al bianco e nero di Schindler’s List.  Ma quando sembra aprirsi un varco, questo subito si richiude:  “E poi a che serve conoscere una persona quando è così bello sognarla?”

Per saperne di più: Riccardo Lestini, Firenze,un film. Edizioni Fogliodivia.

Fiorella Casucci