L’Etruria

Redazione

Aldo Moro: un sacrificio indispensabile?

Aldo Moro: un sacrificio indispensabile?

Nell'anniversario dell'uccisione di Aldo Moro, dall'ex-sindaclista della Cisl Luigi Canali , riceviamo e pubblichiamo.

Un mistero senza fine. Una storia che, forse deve ancora trovare il suo epilogo definitivo, le sue reali motivazioni, le ragioni di chi ha tirato i fili e gestito le marionette del teatro italiano, politici e terroristi compresi. Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro è un film del quale non si capisce l’inizio e ancor meno la fine, una sceneggiatura che nel corso di 42 anni si è riempita man mano di misteri su misteri, misteri reali e misteri solo supposti o creati ad arte. Una trama che ha visto via via aumentare attori e comparse: servizi segreti internazionali, depistatori, consulenti stranieri, manine oscure che producono falsi comunicati BR, terroristi della Rote Armee Fraktion, di Action Directe…un dedalo di personaggi che recitano a soggetto e sullo sfondo la vittima, il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro fautore di un coinvolgimento del Partito Comunista di Enrico Berlinguer nel Governo, in nome di una “solidarietà nazionale” in grado di migliorare le condizioni del Paese. Una tesi poco gradita e giudicata politicamente pericolosa sia dagli americani che dal Pcus dell’allora Unione Sovietica.
Ma il dilemma di Moro era concreto: “Come conciliare l'estrema mobilità delle trasformazioni sociali con la continuità delle strutture rappresentative? Come integrare nello Stato masse sempre più estese di cittadini senza cedere a seduzioni autoritarie? Come crescere senza morire?” Aldo Moro si pone di fronte ai necessari cambiamenti, dopo lo strappo di Berlinguer dall’Urss, come era avvenuto negli anni sessanta nei confronti del Psi di Pietro Nenni. Ma tutto questo, le presunte cospirazioni, le congiure e gli intrighi non sono l’oggetto di queste brevi riflessioni, mi preme di più ricordare l’uomo, il padre, il marito, il politico e tutto quello che il folle gesto dei terroristi scatenò nel Paese, dalle emozioni alle reazioni, dalla rabbia al pianto.
E la risposta delle Istituzioni, della gente comune e dell’informazione fu immediata, le edizioni straordinarie dei Tg e della carta stampata riempirono etere e piazze, soprattutto quella piazza San Giovanni dove lo stesso giorno del rapimento Cgil, Cisl e Uil riunirono circa 200 mila persone, una piazza gremita nella quale sul palco si leggeva: “Unità, solidarietà, vigilanza democratica, salvaguardia delle Istituzioni contro la violenza e il terrorismo”. Una piazza attonita, senza distinzioni di appartenenza, sotto bandiere diverse, da quelle della Dc a quelle del Pci, del Psi, dei repubblicani, dei sindacati, delle fabbriche, degli ospedali, dei comuni, tutti insieme ad ascoltare tra gli altri Luigi Macario (Cisl), Giulio Carlo Argan (sindaco di Roma), Luciano Lama (Cgil), Giorgio Benvenuto (Uil), Giovanni Galloni (Dc)…
Non voglio fare paragoni inutili e forse inappropriati, ma, diversamente da quanto avviene oggi, di certo in quei giorni divergenze e differenze politiche furono messe da parte e tutti assieme si lavorò per portare fuori il Paese da una crisi terribile.
Ricordo ancora le parole di Luciano Lama: “Io credo, compagne e compagni, che nelle grandi prove, nei momenti decisivi come questo si misurano in effetti le qualità vere, migliori di una classe, di una popolazione, di una nazione […] dobbiamo sentire che l’intesa, l’unità fra di noi è una delle garanzie vere, delle possibilità della democrazia, della libertà di trovare nel nostro popolo la sua difesa essenziale. Dimostriamo in questo momento difficile, in questo momento tragico della vita del paese di essere all’altezza di questo grave compito”.
E poi quelle di Giorgio Benvenuto:” Colpendo Moro, il suo pacifico progresso di una nazione, si pretende di far tornare il Paese nel buio di lotte feroci combattute da minoranze che hanno in comune il fanatismo e la violenza. Ma queste sono strade che l’Italia ha ripudiato e che nessun dramma, nessuna tragedia può riaprire. In questa coscienza il Paese ha reagito con fermezza, con sdegno alla grande offesa, l’immensa folla accorsa nelle piazze è la più esplicita risposta popolare di un Paese maturo per la democrazia, un Paese che respinge ogni provocazione, ogni tentativo di frenare il progresso di questa democrazia”.
Certo dopo i primi giorni di grande emozioni si registrano le prime crepe, da una parte i fautori della linea della fermezza (con i terroristi non si tratta) e quella favorevole alla trattativa (sostenuta dal Psi di Bettino Craxi), dissidi e tensioni nelle quali si inseriscono gli appelli di Paolo VI per la liberazione (con la famosa lettera che inizia: “Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro”) e le lettere di Aldo Moro ai familiari, ai politici, agli amici… Lettere nella quali si chiede e si invoca la trattativa. Ecco, oggi, 9 maggio l’unico pensiero travalica polemiche e misteri, davanti agli occhi quella foto di un uomo adagiato nel portabagagli di una Renault rossa e abbandonato in pieno centro di Roma a due passi dalla sede della Dc e a quella del Pci. Un omicidio barbaro che è all’origine della fine di quella “geometrica potenza” attribuita ad una organizzazione terroristica che, in realtà ben poco aveva di geometrico.
Oggi 9 maggio 2020, per me resta solo l’uomo, resta quell’Aldo Moro, padre e marito, forse sacrificato sull’altare di qualcosa che ancora oggi, almeno io, faccio fatica a capire cosa sia.
Luigi Canali