L’Etruria

Redazione

Lettera aperta a Pierre Carniti, abitante della Gerusalemme Celeste

Appello di un amico cortonese al grande sindacalista italiano.

Lettera aperta a Pierre Carniti, abitante della Gerusalemme Celeste

Caro Pierre,

ti ho scritto tante lettere quando eri quaggiù in terra ed oggi, nel secondo anniversario della tua chiamata ad abitante della  Gerusalemme Celeste, mi permetto di scrivertene un’altra per ricordare a tutti e a me la tua straordinaria esperienza di sindacalista e politico  al servizio dei lavoratori italiani e della causa dei diritti umani.

La tua presenza terrena oggi manca non solo ai tuoi familiari, ai tuoi parenti ed amici, ma anche a tanti italiani e soprattutto ai lavoratori italiani per i cui diritti spendesti tutta la tua vita.
Ricordo ancora con commozione e nostalgia  il nostro ultimo incontro nei giorni di fine aprile 2018 quando ebbi il piacere e l’ onore di passare le mie ultime due ore di amicizia e di dialogo con te nello studio di casa tua in via Oppido Mamertina. Eri già gravemente ammalato, ma non davi a vederlo. Eri ancora attento e lucidissimo osservatore delle vicende sindacali e politiche della tua amata Italia.

Ricordo che con un laconico " insomma, siamo nel dramma" concludesti le tue riflessioni , la tua analisi sull'allora dopo- elezioni e sulla tormentata  vita parlamentare di quei giorni, che era alla ricerca di un governo che ancora non si intravedeva. Una vita parlamentare che oscillava tra la voglia contrattuale gialloverde del governo Conte 1 e coloro che chiedevano un nuovo scioglimento delle Camere e quindi  un richiamo del popolo a dirimere i nodi dell’ inaspettato verdetto scaturito dal voto politico del 18 marzo. Uno scioglimento per un doveroso appello al popolo sovrano che forse avrebbe reso meno amaro il nostro oggi. Un oggi dove in tanti sembrano voler usare la sciagura dell' emergenza sanitaria per la realizzazione del potere assoluto neoliberista e orwelliano che tu hai sempre combattutto. Un oggi dove non ci si vergogna di invocare lo Stato primo etico e favorire di fatto le speculazioni in atto sul piano della vita economica degli italiani e delle italiane, che taluni vorrebero ridotti a "vulgo disperso che nome non ha" davanti al mondo e a “lor signori” della globalizzazione selvaggia.

Cioè davanti ai poteri occulti di quella globalizzazione modellata dalla quarta rivoluzione scientifica del digitale che schiavizza e inselvatichisce il ceto medio, i lavoratori dipendenti e le partite iva dei piccoli artigiani, dei piccoli commercianti e dei piccoli professionisti di arti e mestieri di un piccolo mondo antico sempre più avviato  alla riserva sociale e civile.

Insomma, ti scrivo per chiederti di aiutarci a contrastare ed impedire l'affermarsi del neoliberismo, cioè di quella struttura sociale ed economica contro cui tu hai combattuto tutta la vita e che denunciasti in un tuo importante discorso del 1981: “la nostra visione dice no a coloro che si attendono tutto o dal mercato o dallo stato. La nostra è una visione che respinge l’individualismo di mercato , ma anche la dipendenza esclusiva del cittadino, del lavoratore dall’intervento o dall’assistenza dello stato sociale. Noi abbiamo una visione contrattuale ed equilibrata dei rapporti sociali che contrasta con l’offensiva neoliberista che esalta acriticamente il mercato come regolatore tanto dell’economia che dei rapporti sociali(…) l’occupazione e il pieno impiego sono questioni fondamentali per una comunità che mette il lavoro al primo posto e che il mercato da solo non sa o non vuole risolvere (…) se si guarda al mercato come strumento esclusivo di selezione e promozione degli individui, si arriva ad una politica di cinica concezione di darwinismo sociale che privilegerà solo i più forti, i più fortunati, sottomettendo coloro che hanno più ragioni”.

A due anni dalla tua chiamata alla Casa del Padre ci mancano tanto, ma proprio tanto, le tue analisi e le tue indicazioni di speranza nel domani, nel futuro d'Italia.
Dalla nuvoletta delle infinite praterie del Cielo dove te ne starai solitario, come negli ultimi vent'anni della tua vita terrena, ad osservare le vicende politiche e sindacali dei tuoi amati operai, degli italiani e delle italiane, vedi di mandare un pizzico di sale sulle teste, sulle zucche di noi tutti che ancora militiamo e crediamo nelle tre grandi confederazioni Cgil,Cisl e Uil. Tre organizzazioni sindacali che tanto bene e progresso diedero all'Italia del Novecento e che oggi invece appaiono volersi ridurre a poveri, burocratici, seppur importanti, uffici di patronato previdenziale e di assistenza fiscale, come ormai vociferano tanti, troppi giovani italiani.

Mandaci un pizzico di sale per farci  ritrovare la strada del "Sindacato soggetto politico" di cui tu, assieme a Lama e Benvenuto, fosti splendida bandiera, seguita da milioni e milioni di lavoratori, studenti e cittadini tra il 1968 e il 1985.

Nella storia repubblicana d’ Italia sempre Cgil, Cisl e Uil sono stati sindacati soggetti politici di guida sociale e politica per gli italiani e le italiane in lotta per i diritti inalienabili di democrazia, libertà e progresso economico. Oggi invece Cgil, Cisl e Uil appaiono agli occhi dei cittadini e dei lavoratori degli ‘assenti ingiustificati’ sul piano della comprensione e della guida di un cambiamento epocale che non si vergogna di far sventolare le sue distruttive bandiere  per attaccare e distruggere le relazioni umane e comunitarie, costruite e conquistate dalle  lotte dei lavoratori del secolo scorso. Lotte che tu ideasti e guidasti al successo con la forza di quel sindacalista d'assalto , ben descritto dal libro di Claudio Torneo del 1976, facendo suonare a distesa in ogni fabbrica ed in ogni città italiana le campane della Cisl. Campane che chiamavano ad osare più solidarietà, più contrattazione, più democrazia, più libertà  nei posti di lavoro e nelle strade d'Italia. Campane che deninciavano il sapore di sale "dello scendere e il salire le altrui scale", invocando quel pansindacalismo di cui oggi in tanti sentono la mancanza e che noi tuoi amici ed ex collaboratori tentiamo invano di tramandare attraverso una memoria attiva che però si fa sempre più difficile e complicata causa la repressione del pluralismo ideale , culturale e politico in atto nel nostro paese e nel mondo intero.

Senza l’ apporto di un sindacato soggetto politico, che scenda tra i marosi della odierna tempesta per guidare in porto sicuro la navicella della democrazia repubblicana italiana, c'è il rischio concreto di un naufragio drammatico e tombale per il futuro democratico e libero dei giovani e meno giovani dell' Italia odierna.

Tutti parlano di ritorno alla normalità a partire dal tre  giugno. Ma, invece, altro che ritorno alla normalità! E’ un nuovo mondo terribile quasi da incubo quello che si intravvede dietro l’angolo del Covid-19. Da una parte le nuove élites ricche e padronali di “lor signori” e dall’altra le masse sterminate ed inermi di un popolo di poveri ed esclusi che mugugnano, ma non riescono ad andare oltre il famoso pianto greco e , pronti  ad arrendersi alla dittatura del neoliberismo, si trascinano  sfiniti nella loro condizione di volgo indistinto e schiavo.

Davanti a chi acquista mascherine Louis Vitton anticovid a 1680 euro l’una, nessuno sembra avere il coraggio di ribellarsi e in troppi si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo del ricco Epulone.

Il sindacato confederale non può, non deve  accontentarsi di aiutare a raccogliere le briciole che cadono dal tavolo di “lor signori” o di tollerare che i lavoratori del ceto medio paghino in tasse dirette il 40% dei loro salari e i ricchi solo  il 42% dei loro introiti o che molte , troppe aziende e imprese vadano a pagare all’estero poche tasse ad altri stati e poi pretendano ed ottengano ristori anticovid da uno stato italiano "forte con i deboli e debole con i forti".

Davanti alla dittatura dello Stato primo etico nessuno si sta accorgendo che stanno tornando sotto mentite spoglie i fascismi, i nazismi, i comunismi del primo novecento e in troppi, anche  tra i sindacalisti, si limitano al ritornello del “ democrazia, libertà, buon senso  vo cercando”, lasciando i  lavoratori e i più deboli alla  dura e spietata condizione del vivere tra l’incudine e il martello degli algoritmi di una rivoluzione tecnologica al servizio dei potenti ‘lor signori’.

Il virus di condizionare tutti e tutto per mezzo degli algoritmi della società digitale sta smembrando il senso stesso delle comunità nazionali e locali, cioè il vivere antico delle relazioni di vicinato, dell’incontro di strada sulle vie del mondo e lasciando di fatto alle persone  la sola scelta di vivere chiusi in casa per i più fortunati o negli anfratti e nelle spelonche per gli esclusi, che però vengono quotidianamente ammaliati ed illusi con l’effimera e  violenta vetrina dei cosiddetti social, dove ormai i diritti di cittadinanza attiva si perdono e dove nessuno si accorge di essere ormai un’isola nel mare oceano del panta rei del web e dove in tanti non si sentono più membri di quella comunità  umana che una volta guardava principalmente  al futuro di figli e nipoti e che oggi si vanta di rifugiarsi nell’utile particolare del tornacontismo personale o di parte.

Davanti al dramma, in atto da diversi anni , ma aggravatosi  in Italia dopo il 18 marzo 2018, della politica  biodegradabile, dell’affermarsi della disintermediazione, della convivenza istituzionale, politica e sindacale con  un tessuto sociale strappato e a brandelli, servono grandi risposte all’imbarbarimento del quadro sociale , al pendolarismo, all’alternarsi infinito tra chiusure ottocentesche del ritorno alle povertà nazionali e l’incubo di un potere unico sovranazionale che ha reso selvaggia e violenta la globalizzazione con le sue politiche dell’austerity e dello smarrimento della prospettiva sociale europea delle origini, strangolata dai cuori di pietra degli gnomi della finanza e della speculazione borsistica.

Oggi più che mai servono quelle risposte che tu indicasti nella tua lettera aperta che inviasti a Cgil,Cisl e Uil un anno prima della tua morte: “mai rassegnarsi alle difficoltà del presente che ci è dato di vivere (…) capire il cambiamento e guidarlo con la ragioni dei lavoratori e con lotta sindacale confederale”.  “Sappiamo- scrivesti loro- che le cose sono cambiate e non saranno mai più le stesse di un tempo. Perché la storia accelera e scopriamo non solo di essere in affanno e spesso in ritardo. Tuttavia, non possiamo essere condiscendenti con noi stessi. Perché quanti, come chi scrive, sono convinti che il sindacato abbia ancora una funzione essenziale da esercitare, per realizzare più equità sociale, migliori condizioni di lavoro e di vita, garantire un importante pilastro della democrazia, devono fare quanto dipende da loro per cercare, con un impegno collettivo, di risalire la china. Non possono quindi esimersi dal compiere i passi necessari, a cominciare dalle indispensabili pre-condizioni, per ridare al mondo del lavoro un progetto ed una speranza credibili. Inutile sottolineare che la strada è tutta in salita e che il cammino è alquanto impervio. Perché le difficoltà da affrontare sono serie ed impegnative. Ma al   tempo stesso si deve essere consapevoli che c'è una sola difficoltà davvero insuperabile: è la rassegnazione”.

E’ tempo , aggiungesti, di “cogliere l'unità nella diversità e di trasformare il superamento delle diversità in una ragione di irrobustimento dell'unità. Condizione indispensabile per realizzare, come richiesto dalle sfide da affrontare, un impegno solidale, condiviso, efficace. Va detto che in proposito non è possibile alcuna indulgenza, nessuna condiscendenza. Perché (mentre per la soluzione dei problemi che riguardano la condizione del lavoro si devono fare i conti con l'opposizione, la resistenza delle controparti e degli avversari) in questo campo tutto dipende esclusivamente dalla volontà e dalla coerenza soggettiva del movimento sindacale confederale (…) Serve in particolare la capacità di selezionare e decidere le priorità (….) Guardando i termini attuali della situazione, si è indotti a ritenere che ‘non c'è tempo da perdere’. Anche perché diversamente, si deve mettere in conto che, se dovesse continuare l'attuale andazzo, ‘sarà il tempo a perdere noi’, anche se , nonostante tutto anche io, come molti altri, resto sempre un uomo della speranza”.

Caro Pierre ,tu che sei stato un vero santo laico del  Novecento italiano, manda giù dal cielo un po’ di quel sale di speranza di vita e di futuro a tutti noi, che ancora crediamo nel sindacato soggetto politico, affinché si possa impedire quella dittatura neoliberista, che,nonostante le tue denunce, da trent’anni si sta affermando, cercando oggi addirittura di imporsi utilizzando anche la pandemia del Covid per concretizzarsi e imporre alla guida del mondo e dell’Italia  il ‘modello Sparta’ del quarto secolo a.c.  Purtroppo un modello ben confezionato e con la luccicante carta della rivoluzione digitale o nuova rivoluzione scientifica che, senza il contributo e  la guida del sindacalismo confederale, sarà solo l’instrumentum ad hoc per perfezionare la dittatura del neoliberismo calvinista di rito nord-americano e dei tanti cuori di pietra,  dei troppi ‘gamba di legno’ che tramano contro il progresso e la promozione umana.

E’ vero, come tutti abbiamo sotto gli occhi, dal tre giugno l’ Italia è ripartita. Ma è ripartita  nel pieno di una crisi che fa paura, di una crisi che porterà ancora sofferenza e dolore. Una crisi dalla quale si uscirà solo se tutti saremo responsabili e attenti a non farci ingabbiare di nuovo. Tra limiti e controlli sanitari necessari o troviamo tutti assieme una strada comune per risollevarci o sarà un tempo di violenza e di inselvatichimento umano mai visto.

I social, che oggi sembrano tanto di moda, sono un  panta rei dominato da algoritmi pensati e costruiti nel segreto di stanze occulte e buie. Non sarà allora bene tornare subito a vivere al sole delle nostre strade che, anche se polverose e da percorrere con mascherine e distanza fisica, restano pur sempre la concretezza, la realtà di un popolo che non può permettersi di continuare a dividersi in ricchi e poveri, in inclusi ed esclusi, in mondi politici chiusi e contrapposti.

Tutti sappiamo che davanti ad una pandemia devastante di un virus che ora la medicina sta combattendo abbastanza meglio, non esiste una verità di parte. Però in tanti sappiamo che dobbiamo opporci al tentativo nascosto di imporre alle nazioni, ai popoli quel nuovo modello sociale ed economico dove pochi comandano ed hanno tutto e in tanti sono solo schiavi o sudditi senza voce e senza diritti umani. In tanti sappiamo che il governo eletto dal Parlamento va rispettato, ma mai considerato amico dei lavoratori. Va sempre visto come la controparte istituzionale con cui contrattare i diritti e il progresso dei lavoratori e del lavoro. A partire dal rispetto di quello Statuto dei Lavoratori per la cui emanazione di legge cinquant’anni orsono tu tanto ti impegnasti.

Qui è il campo della resistenza responsabile e rispettosa, della concordia nazionale per una battaglia sindacale di coloro che ancora credono in una soggettualità politica di Cgil,Cisl e Uil unite nella difesa della libertà,della democrazia,del pluralismo e della solidarietà, anche se a lungo i lavoratori dovranno lottare senza buttare via gli indispensabili strumenti di protezione sanitaria stabiliti dai protocolli delle norme sanitarie e dal buon senso dell'aiuto fraterno tra i cittadini. Naturalmente i calcoli di parte non servono a nessuno, ma come tu ci hai insegnato e come ha dimostrato anche l’ esperienza dura e traumatica della chiusura in casa degli italiani nei mesi di marzo ed aprile, i sindacalisti veri non rinunciano mai ad appellarsi al popolo dei lavoratori e del lavoro, perché sanno che  la gente capisce sempre e sa responsabilmente da che parte stare. Domenica mattina 7 giugno, con l'amico Ennio ed altri,  verremo a portarti un fiore nella Cappellina umbra in cui, dal 7 giugno 2018, riposi.

Ivo Camerini