L’Etruria

Redazione

Renato Mariotti e il Giorno della Memoria

Il 27 gennaio 2021 il nostro omaggio all'indimenticato ed indimenticabile concittadino cortonese ritornato vivo dai campi di sterminio nazifascista.

Renato Mariotti e il Giorno della Memoria

L’elemento fondante di un popolo è costituito dalla sua storia nazionale, vicende più o meno gloriose ma condivise da tutti. Purtroppo dopo 160 anni siamo riusciti a condividere ben poco, sono più le cose che dividono di quelle che uniscono, la nostra storia è diventata oramai un’opinione personale, in un clima politico e sociale avvelenato da stampa e social dove imperversano volgari e sconsiderati Soloni revisionisti. In questi giorni si celebra il Giorno della Memoria, per “ricordare” gli orrori della sistematica e diabolica persecuzione del popolo ebraico, proprio il 27 gennaio, giorno in cui nel 1945 i soldati dell’Armata Rossa sovietica liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, mostrando a tutto il mondo gli orrori dello sterminio nazista. Come cortonesi abbiamo l’obbligo morale di ricordare il nostro concittadino Renato Mariotti, una testimonianza diretta dell’Olocausto italiano, che con la sua personale e triste esperienza ci ha fatto ben comprendere la tragedia dei nostri soldati all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre 1943 e le loro sofferenze nella successiva deportazione nei campi di sterminio nazisti. La storia di Renato la conosciamo ormai da anni, ma è pur sempre giusto riproporla in occasioni come questa, visto che è sopravvissuto a 14 terrificanti mesi di prigionia, prima nel campo di Mauthausen e poi in quello di Ebensee, entrambe città dell’Austria Superiore vicine a Linz. L’Armistizio lo colse marinaio a Lussinpiccolo, un’isoletta croata di fronte a Fiume, e in qualche modo riuscì a sbarcare in Italia. Renato, anche se a piedi e in mezzo a pericoli di ogni genere, impiegò pochissimo tempo per tornare a Cortona, ma la situazione era diventata ormai insostenibile per gli “sbandati” come lui, così decise di raggiungere Francesco, il fratello maggiore che abitava a Firenze, che gli consigliò di raggiungere la Capitaneria di Livorno per essere reintegrato nella Marina. L’8 marzo 1944 Mariotti arrivò a Firenze, ma ebbe la sventura di imbattersi nello sciopero nazionale proclamato dal C.N.L.,  protesta che aveva scatenato la reazione dei tedeschi, che rastrellarono quanti gli capitarono a tiro, ammassandoli alle scuole leopoldine di Santa Maria Novella. Arrestato insieme al fratello, Renato fu subito rilasciato perché risultava essere un marinaio in servizio a Livorno; invece Francesco fu trattenuto perché si era dimenticato i documenti d’identità e per questo fu fatto salire su un treno in partenza per “Prato”,anche se tutti sapevano che non sarebbe stata quella la destinazione. Allora Renato, pur libero, non ebbe cuore di abbandonare il fratello e chiese a un Tenente delle S.S. di poter seguire la stessa sorte del congiunto, così li fecero salire entrambi sui treni piombati del binario n.6, con la scritta “Operai volontari per la Germania” e via verso Mauthausen. I vagoni erano pieni di pane e di pasta d'acciughe e i prigionieri, digiuni da giorni, mangiarono quasi tutto, accorgendosi in ritardo che non c'era acqua. La prigionia cominciava lì, in quella tradotta stipata di corpi, fino a 120 per vagone, in quel viaggio di quattro giorni senza vedere un goccio d' acqua. Molti, tra cui Renato, dopo qualche giorno di permanenza a Mauthausen furono invece destinati al campo satellite di Ebensee, per scavare nella montagna una rete di gallerie destinate ad ospitare il centro di ricerca missilistico tedesco e dopo uno sbrigativo saluto non rivide mai più Francesco, che morì il 24 maggio 1944. La vita, anzi, la sopravvivenza in quei campi di sterminio era veramente difficile, sia per la mancanza quasi assoluta di cibo che per le continue angherie e crudeltà a cui i prigionieri erano sottoposti. Sono stati scritti centinaia di libri sull’argomento, girati altrettanti film, dibattiti, processi, ecc., quindi tutti sappiamo ciò che è orribilmente accaduto, ma sentirselo raccontare da un amico cortonese è ancora più sconvolgente: «Il vitto era composto da bucce di patate e acqua due volte al giorno più un lurido pezzo di pane da dividere tra sei persone …Dormivo in un letto a castello per due ma per le continue morti potevo stare anche da solo …Per scarpe un paio di zoccoli di legno e un pezzo di stoffa per fasciare i piedi al posto delle calze». Dopo circa due mesi di questo trattamento i prigionieri erano stremati, tanto che Renato da 70 kg arrivò a pesare 39 kg e la situazione era peggiorata dai durissimi turni di lavoro nei cantieri dei missili balistici V2. Durante un bombardamento alleato Mariotti si rifugiò all’interno di un tunnel, ma fu scorto da un soldato tedesco che credendolo un fuggiasco lo ferì sparandogli contro una raffica di mitragliatrice. Sebbene sanguinante per le ferite fu prima punito con 25 nerbate e poi ricoverato all’ospedale del campo collocato vicino al crematorio, un’allucinante anticamera della morte sia per le ridicole ed inefficaci cure, sia per gli esperimenti che i chirurghi nazisti effettuavano sui malcapitati. Ai malati il cibo non veniva quasi mai distribuito e si spengevano in silenzio pieni di bolle e con il corpo deformato da digiuni impossibili. Molti di essi per essere cremati venivano mandati a Mauthausen perché a Ebensee c’era un solo forno. Renato fu sommariamente curato con pezzi di carta e tintura di iodio, ma ebbe miglior fortuna di quelli che periodicamente tentavano invano di scappare: «Ho assistito alla fuga e all’esecuzione di quattro prigionieri, due russi e due polacchi fuggiti per la montagna durante il lavoro. Furono ripresi durante la notte dalle S.S. e dai dobermann che avevano quasi sbranato gli evasi. La pena per chi fuggiva consisteva nel lasciare tutta la notte lo sventurato legato per il collo ad un albero e con le gambe immerse in una pozzanghera piena d’acqua. Le notti austriache erano molto fredde e così vidi morire i due polacchi, che stremati dalla stanchezza piegarono le gambe poco a poco fino ad impiccarsi. I russi invece sopravvissero miracolosamente a quella terribile prova». Le guardie e i “Kapò”, quasi sempre criminali tedeschi imprigionati, li picchiavano continuamente, anche senza alcun motivo e i prigionieri più fortunati erano quelli che avevano i capoblocco spagnoli perché erano molto meno violenti di quelli tedeschi. I pochi fortunati che erano riusciti a sopravvivere a quei duri mesi di prigionia non avevano più speranza di essere salvati, erano sfigurati, allo stremo delle forze e si meravigliavano loro stessi di come potessero ancora vivere in quelle miserevoli condizioni. Finalmente le truppe statunitensi arrivarono a liberarli il 7 maggio 1945, ma ormai per più di 150.000 deportati non c’era più nulla da fare. Renato è tornato da quell’inferno per raccontarci l’orrore della guerra, una tragedia che purtroppo si ripete ciclicamente nella storia dell’umanità e, senza retorica, concludo con le sue parole, rivolte anche a tutti coloro che per opportunità o per vergogna fingono di non ricordare: «La mia storia, che purtroppo è comune a quella di tanti altri, deve essere ricordata, perché la conoscenza di quelle vicende non alimenti altro odio ma aiuti a non ripetere ciò che è accaduto. Certi fatti sono rimasti impressi nella mia memoria in maniera indelebile e credo che li ricorderò per il resto dei miei giorni. Ricordare fa male, molto male, ma è necessario per insegnare ciò che è giusto».  

Nella foto di corredo: il Marinaio cannoniere puntatore Renato Mariotti, classe 1922. Renato fu insignito di 2 Croci di Guerra, nominato Cavaliere della Repubblica per le sofferenze patite durante la deportazione, decorato con il Distintivo d’Onore del Ministero della Difesa e con la Medaglia d’Oro della Sezione Combattenti, Reduci e Invalidi di Guerra di Cortona.  

Mario Parigi