L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni – 51

Ritorno alla normalità dopo la lunga quarantena?

Diario cortonese di questi giorni – 51

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Riflessioni sul cosidetto ‘ritorno alla normalità’ dopo il lockdown. Ma una normalità al ‘minimo sindacale’ che non deve farci dimenticare il dolore passato, la paura avuta e tentare di far svanire quelli che ancora ci attendono.  Grazie  Anna! Grazie anche per questa bellissima serie di puntate del tuo diario cortonese che hai concesso all'Etruria di pubblicare ogni giorno in questi mesi di necessaria clausura sociale.  Auguri d'ogni bene per la tua vita in Cortona e per gli intervalli lavorativi che ancora ti attendono in Roma e altrove.(IC)

Diario del ritorno alla NORMALITA'

Il seguito della frase "ritorno alla normalità" è "occhio!!!" con tre punti esclamativi.
In questo momento "normalità" mi sembra una parola così piena di buchi che l'acqua esce anche da dove sembrava fosse finita.
Eppure, ieri ho fatto un bellissimo sabato in casa coi miei bimbi e abbiamo guardato la serie Skam Italia, che amiamo in modo assoluto. Ma a questa serie voglio dedicare uno dei prossimi post, interamente.
Era per dire che, la normalità di una serata in casa coi miei figli, un tempo mi sarebbe sembrata una cosa da "pigri" o anche da chi "non ha di meglio da fare". Adesso mi sembra la situazione migliore che ci sia.
Non mi viene tanto la domanda: "come ci ha cambiato il lockdown", che pure questa parola poi quant'è brutta, perché non dire "la lunga quarantena"? E come ci avrà cambiato? Non ci ha cambiato per niente. Semmai ha messo in evidenza o sollecitato l'uscita del peggio di ognuno di noi. E deve essere per questo che ora "uscire" ci fa paura. Perché tocca farlo vedere, quanto ne usciamo difettosi. Ci ritroveremo in piazza, ai bar, eventualmente in qualche situazione estiva, senza poter nascondere niente, non solo i chili in più, che è il problema minore, o le ricrescite dei capelli, che si ricolorano, ma tutte le frustrazioni, le piccolezze, le sindromi, gli egoismi, le miserie e le fragilità che fino a qualche mese fa ancora ancora gestivamo tra un giorno schifoso in casa e una giorno fuori a far finta di nulla, ora ci siamo stati a contatto, in una "chiusa", per tre mesi. Come si fa a non nasconderle il giorno in cui, finalmente, saremo di nuovo tra la folla?
Io mi sento ancora traumatizzata per lo schifo che ho sentito in occasione della liberazione di quella ragazza, per le cose atroci e vomitevoli che in tanti, troppi, insospettabili, sono stati capaci di dire e di scrivere, contro di lei. Che non è una mia parente ma è una "figlia" della mia generazione. Questo odio, questa piccolezza gretta usata contro di lei, questo bisogno di vomito della propria disumana miseria, mi ha fatto proprio tanto schifo e mi ha fatto soffrire.
Ma pensando a noi umani, e non ai disumani che tuonavano contro quella ragazza, il nostro piccolo, ossia, la parte piccola e triste di noi, si è vista tanto anche in altre piccole cose. Ad esempio tra queste pagine social riguardo a tutto quello che succedeva con l'evolversi del virus, e che in parte, sappiamo, succederà ancora. Ci siamo attaccati a vicenda, chi aveva ragione e chi no, ma quanta rabbia!
Forse si è visto anche nella vita non sociale. Anche tra persone vicine, quelle che credevi si volessero bene, o quelle che credevi volessero bene a te. Si dicono e si esprimono cose che quando eravamo umani non avremmo potuto immaginare. Sì, perché ora siamo diversi: siamo "umani dopo il coronavirus". Innervositi, impauriti, annoiati, impoveriti, invidiosi di chi non lo è. Ora siamo convinti che la selezione naturale avvenuta dei "contatti" che ci erano venuti a noia, sia l'antidoto per andare avanti. Abbiamo tanti "rimosso dagli amici" anche dentro la testa. Ma noi? Dove siamo, ora che ci sembra di aver fatto la figata del comando "amici rimossi" usato più volte? Siamo salvi?
Il ritorno alla normalità fa paura anche perché la pigrizia che prima mi sembrava un connotato negativo oggi mi sembra sacrosanta. E non parlo di quella pigrizia dal lavoro, o da certi obblighi che più chi meno abbiamo sempre. Parlo della pigrizia dalla troppa vita sociale, o dalle troppe regole che non erano regole ma nevrosi, che ci eravamo dati per essere al passo coi tempi e con il mondo fuori o forse per l'atavica paura della solitudine che ognuno di noi ha dentro. Ma chi l'ha detto che serva davvero una cena, un aperitivo, un viaggio di ferragosto, un'uscita con questo e quest'altro, per non sentirsi soli? E quelle agende dove ogni giorno ci sono tre cose da fare, se a un certo punto venissero buttate a un fiume (no perché inquinerebbero, ma una cosa simile), o perse dalla borsa, che danno sarebbe?
L'altra cosa che mi fa paura, è lo svanire della paura. La cui spiegazione è: ci siamo abituati. Ci siamo abituati ad averla, e quindi facciamo le cose che prima, per paura, non facevamo. E però è naturale, bisogna pur tornare a prendere l'autobus, il treno e vedersi tra la gente. Soprattutto tornare a lavorare, tra le persone. E sappiamo quanto era difficile stare senza tutto questo. Dobbiamo abituarci a stare attenti e allertati lo stesso, con tremila precauzione al giorno anche ora, soprattutto ora che ci è scemata la paura, ma dobbiamo tornarci, alla vita di prima.
Però, la cosa triste, secondo me, è che allo svanire della paura svanisce anche la compassione, la commozione. "Sono morti in tanti", potrebbe diventare una frase come un'altra, come quella usata per troppo tempo "tanto muoiono solo i vecchi" oppure "L'influenza normale fa ogni anno più morti". Quanti vaffanculi ho detto e pensato in questi mesi.
Lo svanire della compassione. E non è che io sono più buona di altri e non seguo la scia, anzi.
Insomma, ho quasi paura che non sia trascorso poi così tanto tempo per imparare davvero quello che forse eravamo stati chiamati a imparare.
O che sia passato troppo poco tempo per imparare che non dovevamo imparare niente, solo lasciare che a decidere fossero il cielo, l'universo o chi per loro.
Ho paura che torneremo a fare tutto quello che questi tre mesi di prova ci avevano chiesto di "osservare" bene per capire che magari non ci serviva più a un cavolo. "Occhio! quella cosa non ti serve, e quell'altra nemmeno!" Che lo rifaremo tale e quale a prima, anche se magari con la mascherina e a distanza di sicurezza.
Il problema vero è che abbiano visto, sentito, tanto dolore. Che abbiamo avuto paura per noi, per i nostri cari, e per la crescita del numero di chi ci era dentro. Ammetto che, anche se appartengo alla scia che oggi vede scemare ogni sensazione forte, quella paura per noi e quella pena per gli altri, hanno accompagnato ogni mia giornata di questi mesi. Non fosse stato per questo dolore, il resto, i tre mesi occupati solo a fare il "minimo sindacale" di cose al giorno, mi sono sembrati la vera, rassicurante e bellissima NORMALITA'. Forse bellissima perché di fronte alla morte, tutto, anche una vita al minimo, è bellissima. Fosse questo ma senza più virus, io ci resterei volentieri. Pochi appuntamenti, poche persone, poche occasioni, poche corse, pochi orari, il minimo delle uscite, la quasi assenza di "si deve fare", ad eccezione delle precauzioni igieniche, ah che meraviglia! La normalità. Chi ha capito davvero quale sia?

Anna Cherubini