L’Etruria

Redazione

La 'lectio magistralis' di padre Fortunato Iozzelli

Tenuta dallo studioso medievalista durante la presentazione del libro " Margherita da Cortona"

La 'lectio magistralis' di padre Fortunato Iozzelli

Pubblichiamo volentieri la bella 'lectio magistralis' che padre Fortunato Iozzelli, illustre studioso medievalista e professore universitario , ha tenuto il 18 gennaio 2020 nella Sala del Consiglio Comunale di Cortona nel corso della presentazione del libro “Margherita da Cortona. Vita,colloqui,miracoli”, curato da padre Federico Cornacchini e pubblicato dalle Edizioni Porziuncola di Assisi nel 2019.

Al file originale del testo inviatoci dal padre Iozzelli abbiamo tolto il nutrito apparato critico delle note scientifiche per tutelare l’autore e abbiamo aggiunto solo qualche grassetto ad inizio di capoverso e nei passaggi relativi agli ammonimenti rivolti da Margherita al vescovo Gugliemino Ubertini. (IC)

 

(Cortona, 18 gennaio 2010)

MARGHERITA  DA  CORTONA : DONNA  RICCA  DI  MISERICORDIA  RICEVUTA  E  DONATA

FORTUNATO  IOZZELLI

1. ‒ Il libro che oggi presentiamo in questa sede è la traduzione italiana del testo latino intitolato Legenda de vita et miraculis beatae Margaritae de Cortona, scritto dal frate minore Giunta Bevegnati di Cortona tra il 1288 e il 1311. Il termine latino legenda non deve trarre in inganno: significa il racconto non di fatti immaginari (di favole), ma della vita di un santo o di una santa da leggere in pubblico o in privato per incrementare e approfondire la vita religioso-morale. La Legenda (o vita) della penitente francescana Margherita da Cortona († 1297) è così strutturata: un prologo, dieci capitoli che descrivono diffusamente e talora in maniera ripetitiva e un po’ confusa la vita e le principali virtù della santa, e un capitolo conclusivo sui miracoli da lei compiuti in vita e dopo la sua morte

Quest’opera costituisce la fonte principale per ricostruire la figura storica di s. Margherita. Nata a Laviano (Perugia) verso la metà del sec. XIII da una famiglia contadina, Margherita nella sua giovinezza perse la madre e per nove anni convisse con un giovane facoltoso di Montepulciano (Siena), dal quale ebbe un figlio. Quest’esperienza ebbe un tragico epilogo con la morte dell’amante. Margherita, ormai ragazza madre, decise di tornare alla casa paterna, ma qui venne cacciata via dal padre istigato dalla matrigna. In preda ad una profonda crisi interiore, Margherita si reca a Cortona (Arezzo), dove trova ospitalità presso due pie signore, presta servizio ad alcune nobildonne per poter mantenere se stessa e il figlio, ed entra in contatto con i frati Minori del locale convento di S. Francesco ai quali chiede ripetutamente di entrare nell’Ordine della penitenza (o Terz’Ordine, riservato ai laici).

Ammessa nel 1277 nell’Ordine della penitenza, Margherita visse fino al 1288 in una cella situata nelle vicinanze della chiesa di S. Francesco, dove assisteva alla messa e alle prediche e sostava a meditare. Fin da subito i frati Minori sono stati le guide spirituali di Margherita nella realizzazione del suo programma di vita incentrato sulla preghiera, la rigorosa ascesi e le opere di carità a favore dei poveri e diseredati.

Intorno al 1288 Margherita si ritirò in una cella più appartata, ubicata nella parte più alta di Cortona e contigua alla chiesa di S. Basilio. Questo allontanamento, motivato dal desiderio di Margherita di una maggiore solitudine e dalla sua volontà di evitare critiche e giudizi negativi che circolavano sul suo conto, non mancò di suscitare malumori tra i frati Minori i quali temevano che la loro «pianticella»   si sottraesse alla loro direzione spirituale. Di fatto Margherita trascorse gli ultimi anni della sua vita assistita spiritualmente da alcuni sacerdoti secolari. Morì il 22 febbraio 1297 e fu seppellita nella chiesa di S. Basilio. Fu canonizzata da Benedetto XIII il 17 maggio 1728.

Con la Legenda frate Giunta, principale confessore della santa, si è prefisso un triplice scopo: anzitutto mostrare attraverso l’esempio di Margherita peccatrice redenta che ai peccatori è aperta la via della salvezza; in secondo luogo, promuovere la santità di Margherita come modello per l’Ordine dei penitenti che facevano riferimento ai frati Minori; infine favorire e diffondere il culto di Margherita.

I capitoli della Legenda sono disposti in modo da delineare un itinerario spirituale che inizia dalla conversione e giunge all’esperienza dell’incontro con Dio passando attraverso un’esistenza improntata alla preghiera, alla penitenza e all’amore verso il prossimo. Questa impostazione riflette la dottrina delle tre vie, che risale allo Pseudo-Dionigi (sec. VI), è presente in Francesco d’Assisi (Lettera a tutto l’Ordine, 51) ed è sviluppata da Bonaventura da Bagnoregio nella sua operetta Le tre vie. Ecco dunque i tre gradi secondo cui si articolano le virtù di Margherita: a) via della purificazione (conversione a Dio, austerità, povertà e umiltà: capitoli I-IV); b) via dell’illuminazione (meditazione della passione di Cristo, preghiera, contemplazione, frequenza ai sacramenti, amore verso il prossimo: capitoli V-VIII); c) via della perfezione (rivelazione del proprio stato e di quello di altre persone, timore in ogni azione, desiderio di morire, azioni miracolose: capitoli IX-XI).

 

2. ‒ Tra i vari titoli che frate Giunta adopera per designare Margherita (per es. «candela posta nelle mani dei peccatori», «scala dei peccatori», «viola odorosa di umiltà», «pecora ricondotta all’ovile», «specchio dei peccatori» ecc.), ce ne è uno particolarmente significativo: quello di «madre di misericordia». Lo si incontra in un passo del c. II della Legenda, in cui viene descritta l’attività caritativa di Margherita a favore dei poveri. È opportuno precisare subito che questo suo atteggiamento verso gli altri nasce dall’esperienza che lei stessa ha fatto della misericordia di Dio.

Nel periodo della sua vita trascorso a Montepulciano, Margherita, pur essendo immersa «nelle tenebre dei vizi» (oltre a convivere con il compagno, le piaceva camminare per le vie adorna di vesti ricercate, con fermagli d’oro tra i capelli e con il volto truccato), tuttavia era illuminata e sorretta da Cristo mostratosi a lei come «maestro», «padre», «sposo», «signore», «plasmatore della [sua] bellezza interiore che desiderava riplasmare». Proprio all’inizio della Legenda è riferito un intenso colloquio tra Cristo e Margherita: questa, sentendosi disperatamente sola e oppressa dal rimorso delle sue colpe, si affida a Cristo dicendogli: «Nient’altro cerco e voglio se non te, Signore mio Gesù». Cristo esorta Margherita a «ricordare» le tappe della vita passata ed i suoi ripetuti interventi per salvarla dal peccato. Il Signore l’ha soccorsa mentre di notte attraversava la palude per raggiungere l’amante a Montepulciano; è stato lui ad ispirarle, mentre viveva in concubinato, la compassione materna per i poveri, il gusto della solitudine e la vergogna della propria condizione morale. Finalmente nel momento in cui Margherita, rifiutata dal padre e dalla matrigna, è stata sul punto di approfittare in senso egoistico della propria bellezza fisica, Cristo ha illuminato la sua coscienza e l’ha invitata ad andare a Cortona per iniziare una nuova vita  .

La venuta di Margherita a Cortona segna l’inizio del suo cammino ascetico-penitenziale, descritto da frate Giunta secondo i canoni tradizionali dell’agiografia (= vite dei santi). Margherita si assoggetta infatti ad una serie di privazioni per quanto riguarda il regime alimentare ed il riposo notturno (dorme su una stuoia o su assi o sulla nuda terra); tende a sfigurare il proprio corpo, che un tempo aveva eccessivamente curato con ornamenti e vesti lussuose, in modo che non le impedisca di dedicarsi a Dio e al prossimo; si distacca dal figlio, i cui lineamenti forse le richiamano alla mente la figura dell’amante, senza però venire meno completamente ai suoi doveri di madre affettuosa; esprime la consapevolezza dei propri peccati con il pianto e forme pubbliche di umiliazione come la questua di porta in porta e la comparsa nella chiesa di Laviano con una corda la collo per chiedere perdono ai fedeli presenti  .

Al di là di questi connotati penitenziali, comuni ad altri santi specialmente dell’area mediterranea, c’è un aspetto che frate Giunta mette particolarmente in risalto nella Legenda, vale a dire l’analogia Margherita-Maria  Maddalena: «Non appena [Margherita] ebbe ricevuto dai frati Minori l’abito della penitenza sembrò una nuova creatura, come se su di lei fosse sceso lo Spirito del Signore. La fece talmente sua il supremo fuoco di amore che da allora ella ricercò con attentissima cura il miglior modo di nascondersi in solitudine: non solo per sfuggire alla conversazione delle persone che sapevano soltanto intrattenersi in argomenti mondani, ma anche perché, come nuova Maddalena, voleva che con la preghiera, la meditazione, il pianto e il digiuno fosse annullato qualsiasi diaframma tra lei e il Signore del mondo»  .

Da questo passo della Legenda si evince che frate Giunta tende ad accostare Margherita a Maria Maddalena per evidenziare quello che hanno in comune: la ricerca della solitudine, il perdono ricevuto da Cristo, la vocazione alla penitenza, l’umiltà, il desiderio di amare il Signore. Il modello evangelico della Maddalena risulta funzionale sul piano storico e teologico. Sul piano storico, perché l’esperienza di Margherita come concubina (oggi si dice ‘compagna’) e penitente si presta bene al confronto con l’immagine della Maddalena così come era conosciuta in Occidente nel Medioevo  . Sul piano teologico, il riferimento a Maria Maddalena serve a frate Giunta per mostrare che come in passato Dio è intervenuto a salvare la peccatrice di Magdala, così ora ha rinnovato e rinnova la sua benevolenza verso Margherita e chiunque, dopo essersi pentito, ritorna a lui. Ma c’è di più: oltre alla Maddalena, le figure in cui Margherita è invitata a specchiarsi sono tutte appartenenti «alla secta di coloro che si convertirono tardi […]. Non c’è peccato tanto grande, è il messaggio profondo dell’agiografo di Margherita, che non possa essere lavato e riparato da Dio, se nei cieli Maddalena la prostituta condivide la stessa gloria della vergine Caterina»  . «Ricordati ‒ dice Cristo a Margherita durante un appassionato colloquio ‒ che io posso dare a chi voglio i miei doni. Ti sei forse dimenticata di Maddalena, della donna samaritana, della cananea, del pubblicano Matteo che fu mio apostolo, e del ladrone cui promisi il paradiso?»  .

La fase ascetico-penitenziale di Margherita «nuova Maddalena» costituisce, per così dire, il presupposto di un rapporto sempre più intimo e familiare tra lei e Cristo, rapporto che cresce e si approfondisce con la meditazione della sua passione, la preghiera e la pratica dei sacramenti. Margherita rivive nella chiesa di S. Francesco a Cortona il dramma della passione di Cristo. Sotto gli occhi dei presenti, ella sperimenta non solo spiritualmente ma anche fisicamente i dolori e la morte di Cristo. La sua riflessione non è soltanto frutto di un procedimento razionale, ma è un coinvolgimento di tutta la sua persona, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti e dei suoi affetti in ciò che medita: «E veramente, terminata la celebrazione della santa messa, quell’anima a Dio devota [cioè Margherita] assaporò l’amarezza della passione ed ebbe una visione: assisté al processo in cui Cristo fu tradito, vide la furia dei giudei, sentì le loro grida e le loro feroci accuse tendenti ad ottenere la condanna di lui […]. Quando poi giunse a sentire quei gridi ‘Ecco il vostro re!’, ‘Non abbiamo re se non Cesare’ e ‘Non trovo nessun motivo per mandarlo a morte’, e ‘Prendetelo voi e crocifiggetelo’, emise un gran grido di dolore e perse i sensi; coloro che le erano vicini ebbero la convinzione che stesse morendo […]. Margherita appariva più come una donna sulla croce che non presso la croce, oppressa com’era da crudeli dolori»  .

La meditazione della passione di Cristo permette a Margherita di cogliere in profondità, sulla scia di Francesco d’Assisi, il senso dell’incarnazione, cioè l’abbassamento (condescensio) di Cristo, la sua umiliazione fino alla morte di croce per salvare l’umanità. Proprio a motivo dei peccati che vengono continuamente commessi, Gesù viene di nuovo crocifisso dagli uomini. Anche Margherita con la sua condotta di concubina ha spesso crocifisso il Signore, tuttavia, come egli stesso la rassicura, «dopo esserti convertita a me, e dopo aver preso l’abito del Terz’Ordine del tuo padre e mio prediletto Francesco dalle mani del guardiano dei frati Minori, ed esserti affidata con tanta devozione al loro Ordine, tu cospargesti di balsamo le mie piaghe e con animo amarissimamente addolorato mi deponesti dalla croce: su quel supplizio non sono mai più salito per opera tua»  .

 

3. ‒ L’esperienza personale della misericordia di Cristo, che con la sua grazia l’ha liberata dall’egocentrismo e resa una creatura nuova, più sensibile ai valori religiosi, induce Margherita ad usare misericordia verso gli altri. In che modo? Seguendo la Legenda, si possono ritrovare alcune forme di attuazione della misericordia del Signore nella vita della Chiesa che sono state richiamate da papa Francesco nella lettera Misericordiae vultus / Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre (dell’11 aprile 2015)  .

a) Anzitutto le cosiddette opere di misericordia corporale e spirituale  . Margherita, oltre a dedicarsi alla penitenza e alla preghiera, svolge un’intensa attività caritativa. A questo proposito la Legenda riferisce che ella, abbandonato il suo servizio di assistenza alle signore di Cortona durante il periodo del parto, apre con l’aiuto di un generoso signore di Cortona nella casa di una certa Diabella un ospizio per i poveri: «Lì il Padre dei lumi e della misericordia dette a Margherita tanta luce e tanta carità da trasformare quella casa in asilo di misericordia (hospitium misericordiae). Quella casa, asilo esclusivo dei poveri, divenne il pensiero dominante di Margherita. Tenacemente volle che, a tempo opportuno, senza guardare troppo ad economie, sia l’edificio che le suppellettili fossero con una certa larghezza confortevoli per i poveri. Margherita si mostrò grata verso coloro che l’avevano accolta fin da principio, cioè i frati Minori, perché ordinò che con i beni della sopradetta casa di misericordia (predicte domus misericordie) fosse provveduto nel miglior modo possibile anche alle necessità dei degenti nell’infermeria dei frati Minori di Cortona. Fu una vera madre di misericordia. Attentissima al sollievo dei poveri, si comportava con noncuranza circa la propria povertà; benché si trovasse spesso letteralmente in penuria, [mai] permise che le fosse assegnato alcunché dei beni della casa»  .

Da questo passo risulta, anzitutto, che Margherita non è stata sola nel dare inizio all’istituzione caritativa, ma si è avvalsa dell’aiuto di persone che disponevano di mezzi: un generoso signore (forse un membro della potente famiglia Casali) e una signora di nome Diabella. In secondo luogo, occorre notare che all’epoca di Margherita già esistevano a Cortona alcuni ospedali: un testamento del 1248 ne menziona tre. Nel sec. XIII si moltiplicano un po’ ovunque le fondazioni che si occupano dell’assistenza delle persone bisognose, nelle quali la devozione all’umanità di Cristo porta a vedere il riflesso della povertà e della sofferenza del Signore. Fino al sec. XV, gli ospizi o ospedali svolgono in genere un programma dal carattere polivalente, basato sull’esercizio delle sette opere di misericordia corporale; perciò essi sono aperti a tutti coloro che non sono in grado di provvedere ai loro bisogni: malati, pellegrini, bambini abbandonati, partorienti, invalidi e così via. La funzione terapeutica è ancora poco diffusa. A questi istituti di beneficenza non solo gli ecclesiastici ma anche i laici destinano lasciti testamentari. Nel caso specifico della ‘casa della misericordia’ aperta da Margherita, il citato passo della Legenda adopera alcuni verbi (‘volle’, ‘ordinò’) i quali lasciano intendere che Margherita ha avuto un ruolo di primo piano nella fondazione e organizzazione dell’ospizio, anche se il testo non entra nei dettagli riguardo alle cure prestate ai poveri e ai bisognosi.

b) Parallelamente all’attività caritativo-assistenziale, Margherita svolge anche una funzione profetica da intendersi come azione-testimonianza a favore della società civile e della comunità ecclesiale. Il ruolo profetico è esercitato da Margherita non per libera scelta, ma su comando di Cristo. Ella vorrebbe eludere ogni impegno pubblico, sottrarsi e nascondersi completamente al mondo, ma Cristo le impone di parlare agli altri, e la chiama «voce del deserto» (in riferimento a Isaia e Giovanni Battista) e «tromba della mia benignità e della mia fruttuosa misericordia» (con richiamo a Isaia 58, 1)  . Concretamente questa spinta all’apostolato si esplicita in lei nella sua capacità di scandagliare i segreti delle coscienze in vista della conversione delle persone; nella sua preoccupazione per la salvezza dei defunti; nell’esortare i frati Minori a dedicarsi senza riserve all’attività pastorale (predicazione e ascolto delle confessioni); nel rivolgere duri ammonimenti agli uomini di Chiesa (specialmente al vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini) che si immischiano troppo negli affari temporali e trascurano i loro doveri spirituali; nel promuovere la  pace tra le famiglie di Cortona. Siamo, come si vede, nell’ambito delle opere di misericordia spirituale. Ecco alcune esemplificazioni tratte dalla Legenda.

* Preghiere per i vivi e per i defunti. Cristo si lamenta con Margherita per il fatto che gli uomini «che io creai a mia immagine sono diventati bestie [...]. Giustamente io mi dolgo di loro perché dicono amaro ciò che è dolce e dolce ciò che è amaro [...]. Perché dunque, disprezzato me, loro creatore, si sottomisero a nuovi padroni? [...]. Perché ad essi sembrano soavi le catene, tanto da lasciarsi spontaneamente condurre legati alle pene eterne? Eppure sarò io a dir loro ‘Andate, maledetti, nel fuoco eterno!’». Di fronte ai lamenti di Cristo, Margherita, quale «madre pietosa», sente compassione per i popoli ostinati nel male e dice al Signore: «Misericordia, misericordia, misericordia, Signore Dio!»  .

Cristo così rassicura Margherita: «Figlia, rallegrati della sorte di tua madre, per la quale mi pregasti, perché, benché abbia dovuto passare dieci anni in purgatorio, ora si trova nella gloria del paradiso [...]. Per quanto riguarda tuo padre, per il quale mi hai pregato con tanta costanza, ti dico che è uscito dal purgatorio [...]. Alla serva di Dio [Margherita] che supplicava il Signore per l’anima della sua compagna Gilia defunta, rispose un angelo: ‘Gilia resterà un solo mese in purgatorio, dove sta soffrendo pene leggere per le sue collere dovute al suo zelo eccessivo’»  .

* Esortazioni riguardanti l’apostolato dei frati Minori  . Dalla Legenda si evince che i frati Minori di Cortona sono molto impegnati nell’ascolto delle confessioni e nella predicazione. Sollecitate da Margherita, che si accosta ogni giorno al sacramento della penitenza dopo un accurato esame di coscienza, molte persone si recano a confessarsi da frate Giunta, creandogli fastidio: infatti non vorrebbe «ripulire molte stalle al giorno»; il Signore, però, tramite la santa gli fa dire che «quando ascolta le confessioni non pulisce stalle, ma prepara un posto a me nelle anime di coloro che si confessano». A un certo frate Filippo, assai perplesso nel rivolgere domande ai penitenti, Margherita consiglia di non temere di interrogarli sui peccati; proprio a motivo di questa attenzione e cura per le anime, i frati Minori sono prediletti dal Signore, perché «per le loro coscienziose fatiche io ho un guadagno di anime»  .

Alla confessione si affianca l’evangelizzazione. Margherita esorta i frati Minori a tenere discorsi incentrati sul Vangelo (specialmente sulla passione e morte di Cristo) e sulle Lettere di s. Paolo e con una finalità pratica: promettere «a coloro che si pentono la generosità della [...] misericordia [divina]» e minacciare «la punizione eterna a coloro che non vogliono pentirsi»  . Nel predicare, però, non tutti i religiosi seguono un indirizzo concreto ed equilibrato. Taluni, quando pronunziano i loro sermoni, parlano di argomenti «astrusi», poco utili al rinnovamento dei costumi; altri inducono «alla disperazione con parole che incutono spavento»  . Se è vero che i frati Minori sono chiamati ad annunziare la parola di Dio con franchezza e coraggio, senza aver paura delle mormorazioni e critiche, tuttavia ‒ come ricorda loro Margherita ‒ non devono dimenticare di mostrarsi disponibili «ed umani con i peccatori», di unire alle riprensioni «quella clemenza con la quale [il Signore tratta] volentieri il peccatore che ritorna [a lui]»  . Insomma nel predicare occorre «contemperare le minacce della sacra Scrittura con la generosità della misericordia [del Signore]», perché il popolo «non cada nella disperazione a motivo dei suoi peccati»  . La dolcezza delle parole del predicatore «è come un amo da cui i cuori degli ascoltatori sono tratti ad affezionarsi a colui che predica»  .

 

* Ammonimenti al clero. Più volte la Legenda attesta che è il clero secolare a occuparsi dell’assistenza spirituale di Margherita (soprattutto negli anni 1288-97). Sono nominati il sacerdote della chiesa di S. Marco, Giunta parroco della chiesa di S. Giorgio e soprattutto ser Badia. Questi sacerdoti, anche se pronti a servire Margherita nelle sue necessità, non sono immuni da difetti (ignoranza, trascuratezza dei doveri pastorali, ecc.); per questo, in varie occasioni, Margherita è sollecitata da Cristo ad ammonirli.

Particolarmente duri sono gli avvertimenti che Margherita indirizza al vescovo di Arezzo Guglielmino Ubertini (1248-1289), uomo politico ambizioso e bellicoso, tenace difensore dei suoi diritti temporali, sebbene assai impegnato nel governo pastorale della diocesi (per es. favorì i frati Minori, intraprese la visita pastorale alla diocesi, tenne alcuni sinodi, ecc.). Nelle accorate esortazioni che Margherita, su invito di Cristo, deve rivolgere a Guglielmino si coglie, in sostanza, il tentativo di persuaderlo a modificare radicalmente la propria condotta politica e militare. Si ricordano, tra l’altro, «gli stipendiati che mantiene con i beni della Chiesa [...] beni [che] sono dei poveri»; le «spese che in passato ha fatto nella curia romana» (forse per ottenere la consacrazione episcopale); l’eccessiva importanza che dà ai «consigli dei suoi parenti» e il suo intromettersi nelle «fazioni che dividono la Toscana» invece di «essere il padre della comunità e il fautore della pace»; gli «illeciti guadagni che si fanno nella sua curia» (probabilmente atti di simonia nel conferimento di benefici ecclesiastici); la sua sfrenata ambizione nell’«accrescere i diritti del suo vescovato»; il fatto che «talvolta a causa sua alcune madri sono morte bruciate con i loro figli», tutte persone redente da Cristo a caro prezzo nella sua passione  .

Si deve rilevare che, nonostante la fama di santità di Margherita, i suoi ammonimenti non riuscirono a convincere il vescovo di Arezzo ad abbandonare la guerra per curare maggiormente la salus animarum (Guglielmino morì nello scontro tra Fiorentini, guelfi, e Aretini, ghibellini, avvenuto a Campaldino l’11 giugno 1289). Di fronte a quest’insuccesso, c’è da chiedersi se effettivamente Guglielmino sia venuto a conoscenza dei messaggi di Margherita, oppure questi siano solo il riflesso di considerazioni personali della santa sulle vicende politico-ecclesiastiche del suo tempo, che poi frate Giunta avrebbe rielaborato in funzione del processo di indipendenza di Cortona dal vescovo di Arezzo, conclusosi nel 1325 con l’erezione della diocesi cortonese da parte di Giovanni XXII.

 

* Promozione della pace  . La figura del ‘bellicoso’ Guglielmino Ubertini richiama l’attenzione sulla promozione della pace nella ‘inquieta’ Cortona da parte di Margherita. Ella è l’ispiratrice dei progetti di pace e frate Giunta ed altri frati ne sono gli esecutori: «Margherita, amabile sostenitrice della pace, al Signore datore della pace chiedeva le ‘paci’ per i Cortonesi. Ebbe da lui questa risposta: ‘Di’, figlia, al tuo confessore che si adoperi per le paci dei Cortonesi: prima quelle all’interno del territorio, poi quelle all’esterno. E digli che di queste paci io chiederò conto a lui, se non si adopera con sollecitudine per ottenerle». «Continuando Margherita a pregare per la pace dei Cortonesi, a lei parlò il Re pacifico, amante della concordia: ‘Sappi, figlia, che il tuo confessore concluderà una pace venerdì prossimo [...]. Anche la pace dei figli del Rosso sarà conclusa per mezzo del tuo confessore. Se egli in quel tempo non fosse presente a Cortona, sarò io a farti sapere quando dovrai mandare a cercarlo, dato che ho concesso a lui la grazia di ristabilire le concordie’ [...]. O cosa mirabile e meritevole di essere ricordata! per istigazione del nemico antico sorse un nuovo caso difficile. Per risolverlo la figlia benedetta mandò subito qualcuno a Siena a cercare me suo confessore. Io venni e, secondo le promesse di Dio, riuscii a concludere la pace tra i figli del Rosso e quelli che dimoravano a Cortona»  .

 

4. ‒ Mi piace terminare questa esposizione su Margherita da Cortona «pecora ricondotta all’ovile dalla grazia»   e «madre di misericordia» con un riferimento alla lettera Misericordiae vultus. Al n. 23 papa Francesco afferma che «la misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio»; si augura perciò che «l’incontro con queste religioni e con altre nobili tradizioni religiose» renda i credenti «più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione». Senza considerare Margherita da Cortona una precorritrice del dialogo interreligioso, merita però osservare che la Legenda, nel presentare il modo di pregare della santa (ripetizione quotidiana di centinaia di Pater noster), mette in evidenza che la sua orazione ha una dimensione universale. Infatti le intenzioni con le quali ella si rivolge a Dio con le parole di Gesù riguardano non soltanto il papa, i cardinali, i legati della Sede Apostolica, gli Ordini religiosi, i re, i governanti, i Cortonesi, i peccatori, ma anche «gli infedeli e gli eretici perché si convertano e seguano la nostra santa madre, la Chiesa romana». Significativamente Margherita ‒ che è figlia del suo tempo, caratterizzato anche da un diffuso antisemitismo ‒ confessa: «Quando prego per i Tartari, i Saraceni e gli altri infedeli, sento nel mio cuore dolcezza e fervore; mentre quando prego per i Giudei mi viene in mente la loro ingratitudine e allora subito quella dolcezza e quel fervore diminuiscono»  .

Al di là di questi condizionamenti socio-culturali, non bisogna perdere di vista che la recita del Pater noster pone Margherita a contatto con i grandi problemi dell’umanità: il pane, il perdono, il male, la sofferenza, la richiesta di aiuto a Dio che solo può darlo. La penitente di Cortona, che prega con il Pater, collabora con Dio per la salvezza del mondo. Prega a nome di ogni uomo con la preghiera universale, pone ogni uomo accanto all’altro, fratelli l’un l’altro, figli dello stesso Padre, uniti insieme per formare una sola famiglia. In una dimensione orizzontale e verticale, Margherita prega insieme con la Chiesa, insieme con il mondo intero. Questa preghiera «è una forma di intercessione che fa di Margherita una sorta di sacerdotessa e di avvocata» non solo del popolo cortonese ma di tutta l’umanità  .

Fortunato Iozzelli