L’Etruria

Redazione

Ciao zio, grazie di tutto.

Pubblichiamo il discorso di Iacopo Mancini ai funerali di Ademaro Battistoni

Ciao zio, grazie di tutto.

Qualche giorno fa lo zio Ademaro mi ha chiesto di tenere questo discorso, il più difficile che mi sia mai trovato a leggere. Spero di non deluderlo, e spero mi perdoni se leggerò.

È un discorso difficile non solo perché accompagna il saluto a una delle persone più importanti della mia vita, ma anche perché non deve essere triste: lo zio ci vuole qui oggi a festeggiare, e ce lo ha ricordato con le sue ultime parole, l’ennesimo insegnamento che ci ha lasciato:

“Io non sono il mio corpo; io sono i miei pensieri, le mie azioni, io sono l’amore che ho dato; io sono l’amore che ho avuto.”

Quell’amore oggi è tutto qui, negli occhi delle persone che gli hanno voluto bene e per cui c’è sempre stato. E allora perché se siamo qui con lui non riusciamo a festeggiare davvero? Da una parte perché siamo quelli che restano, e non è mai facile restare, dall’altra perché il nostro rapporto con la morte non è all’altezza della lucidità che ha provato a insegnarci, la stessa lucidità con cui ha provato a insegnarci a prendere la vita, fatta di gratitudine, consapevolezza, ironia, senso critico e umiltà.

Ce lo ha insegnato nelle infinite battaglie che ha combattuto, dentro e fuori di sé, accompagnando con sorrisi e battute la sua malattia per 26 anni, lottando con serietà e convinzione per le cose giuste, per gli ultimi di ogni angolo del mondo, per lo sviluppo sociale e politico della sua Cortona. L’amore che ha lasciato è anche lì, lui è anche lì, nelle sue battaglie di giustizia che oggi ci chiede di proseguire con lui e nel suo ricordo.

Oggi se ne va un modello di umanità, un faro che non ha mai smesso di illuminare la strada di chi aveva la fortuna di stargli vicino, perché lo sappiamo tutti: quando si parlava con lo zio, quando si aveva bisogno di lui, tra i due era sempre e comunque lui quello forte, quello capace di indicare la via.

L’amore che ha dato è qui, in questa piazza, che ha scelto per la celebrazione per un motivo preciso:

“In questo spazio ho insegnato a fare i primi passi a mio figlio Giacomo e a mio nipote Igor, gli ho insegnato ad andare in bicicletta, li ho portati al Luna park; qui ho condiviso con compagni ed ex-compagni bei momenti di partecipazione durante le feste di fine estate.”

Qui c’è anche tutto l’amore che ha ricevuto, dalla zia Leonarda, da Giacomo, da noi tutti, ma anche da sua mamma, la nonna Gina, che proprio da quella panchina ogni sera d’estate osservava la piazza in compagnia delle amiche. C’è l’amore di sua sorella, la nonna Anna, che pure tra noi ancora vive negli sguardi e nei sorrisi.

Oggi se ne va una persona che per me c’è stata in tutti i momenti importanti della vita, sebbene abbia cominciato a combattere con la malattia proprio quando sono venuto al mondo: lo zio che da adolescente mi ha insegnato a tagliare la barba, lo zio che mi ha accompagnato all’esame per il patentino, ripassando con me per la strada le funzioni dei cartelli, per poi consolarmi ai risultati del test mentre venivo bocciato. Lo zio che mi ha insegnato l’arte del giardinaggio, a tagliare nel momento giusto dell’anno le radici ai bonsai, arte che a dire il vero non ho coltivato poi tanto, se penso alla quercia bonsai che mi aveva regalato e che oggi è la pianta più robusta e imponente del giardino. Eppure, nel vederla crescere, era contento lo stesso: perché lui indicava la via, ma poi mi accompagnava in ogni decisione.

Oggi se ne va una persona importante, ma non se ne va il suo amore e, mi permetto di aggiungere alle sue parole, non se ne vanno questi suoi insegnamenti, non se ne va la strada di umanità che ha tracciato per noi, in un mondo che non ha mai smesso di provare a cambiare in meglio. Sono certo che se gli fosse stato proposto di vivere un pochino più a lungo, non avrebbe detto sì per sé stesso, che già ci ricordava quanto fosse stato fortunato a vivere in un Paese capace di curarlo. Non avrebbe detto sì nemmeno per continuare a osservare i risultati di uno sviluppo umano fittizio, fatto di innovazione e progresso da un lato e di fame e morte dall’altro: lo zio avrebbe detto sì per non togliere la sua voce dal coro che ogni giorno chiede solo di non dimenticare la nostra umanità. Può sembrare una parola generica, astratta, scontata e banale, eppure era quella che risuonava in ogni suo discorso, proprio perché sentiva che per quanto scontata e banale era ed è una parola estranea ai vocabolari di chi guida oggi il nostro mondo.

Questa lucidità, che dovrebbe essere propria di ogni essere umano, in lui trovava una casa e una voce. Non era un eroe, non si sentiva una guida, solo un uomo incredulo di fronte al regresso umano, che non voleva rassegnarsi a lasciar andare le sue battaglie, banali e scontate forse, eppure sempre più messe all’angolo dall’utile, dal denaro, dall’ignoranza e dall’odio.

Oggi il mio invito è quindi quello a cercare di ricordare ciò di cui abbiamo parlato con lui, discusso, ciò che ci ha insegnato, poco o tanto che sia. Ciò che ci vedeva in disaccordo, ciò su cui ci ha fatto cambiare idea: il regalo più grande che possiamo fargli è questo, far sì che il suo passaggio su questa terra abbia inciso almeno un po’ sul nostro modo di leggere le cose, che il suo amore per la vita ci abbia in qualche modo contagiati.

Iacopo Mancini